Si sente spessissimo parlare di
riforme, che si fanno risalire a date ataviche, le quali avrebbero,
secondo i più, affossato il mondo della ricerca e dell’Università
italiane.
La politica del posto fisso ha creato
negli anni della prima repubblica molto lavoro e stabilità ad ampie
fasce di popolazione, che hanno così potuto edificare la propria
vita sullo sfondo di un accomodante garantismo.
Il problema è che il sistema di
sottobosco innestatosi dai tempi di Depretis ha sovente barattato
voti in cambio di favori o concessioni di carattere individualistico
e personalistico: ecco che i partiti hanno creato posti in seno agli
enti statali spesso inutili, atti a fungere da contenitore per coloro
i quali dovevano essere collocati. Tutto ciò avvenne negli anni del
boom economico e degli aiuti provenienti dal Piano Marshall, e
nonostante tali elargizioni l’eccessivo costo della macchina
statale iniziò a produrre quel debito pubblico, oggi grande
problema, che arrivò sotto il governo Craxi al 120%. La mancanza di
lungimiranza e di buon senso da parte dei politici di allora è alla
base la situazione di instabilità di cui soffriamo oggi noi giovani,
che ci troviamo, metaforicamente parlando, costretti a pagare i
pertugi dei nostri nonni o padri.
Vengo al punto: nella mia esperienza
universitaria mi è capitato di prendere atto di eccessivi episodi di
assenteismo ed insufficiente disponibilità tra i docenti oltre che
di negligenza da parte di molti impiegati delle segreterie studenti.
Chi deve vigilare su tutto ciò? Perché
un docente poco motivato o poco virtuoso deve occupare una cattedra
fino a 72 anni, sottraendo il posto ad una persona più motivata? Per
molti professori valenti e rispettabili, ce ne sono altri che non
prestano sufficiente attenzione alla propria professione: sfido
qualunque studente universitario a dire il contrario. Non parlo di
problemi di lieve entità, ma di una mentalità invalsa tra molti
dipendenti ti i quali, convinti di poter mantenere il proprio posto
indipendentemente dall’ impegno profuso nello svolgimento del
servizio per il quale si è stati assunti, contribuiscono a rendere
meno produttivo il sistema universitario.
Ecco, credo che il vero problema
dell’università sia proprio questo. Senza operosità o controllo
tra gli addetti ai lavori, la qualità di ricerca ed insegnamento è
destinata a dipendere dal buon senso di quella percentuale di docenti
virtuosi. Ben venga quindi la proposta del partito di creare una
sorta di “CSM dei docenti”.
Obbligatorio quindi parlare di riforme
“politiche”, ma credo che in questo caso si debba partire dal
basso, e mettere in discussione il posto di coloro i quali non
adempiano al proprio compito, mediante la creazione di organismi ad
hoc. Un’idea potrebbe essere l’istituzione di contratti a tempo
determinato (7-8 anni), auto rinnovabili
qualora il docente o l’impiegato raggiunga dei criteri di
produttività minimi (contando nel caso dei docenti: pubblicazioni
accademiche, attività di insegnamento, convegni ai quali si è presa
parte, ed altre voci ritenute opportune dalla commissione).
Le esternazioni di Brunetta sugli
statali si commentano da sole, ma affrontare il problema della spesa
pubblica e del lavoro statale dipendente non solo dal punto di vista
non meramente fiscale e finanziario, ma del virtuosismo produttivo,
potrebbe essere un’idea interessante.
Valerio Bianconi
Nessun commento:
Posta un commento