mercoledì 14 settembre 2011

Il Governo sbaglia, ma l'Università va riformata




Si sente spessissimo parlare di riforme, che si fanno risalire a date ataviche, le quali avrebbero, secondo i più, affossato il mondo della ricerca e dell’Università italiane.
La politica del posto fisso ha creato negli anni della prima repubblica molto lavoro e stabilità ad ampie fasce di popolazione, che hanno così potuto edificare la propria vita sullo sfondo di un accomodante garantismo.
Il problema è che il sistema di sottobosco innestatosi dai tempi di Depretis ha sovente barattato voti in cambio di favori o concessioni di carattere individualistico e personalistico: ecco che i partiti hanno creato posti in seno agli enti statali spesso inutili, atti a fungere da contenitore per coloro i quali dovevano essere collocati. Tutto ciò avvenne negli anni del boom economico e degli aiuti provenienti dal Piano Marshall, e nonostante tali elargizioni l’eccessivo costo della macchina statale iniziò a produrre quel debito pubblico, oggi grande problema, che arrivò sotto il governo Craxi al 120%. La mancanza di lungimiranza e di buon senso da parte dei politici di allora è alla base la situazione di instabilità di cui soffriamo oggi noi giovani, che ci troviamo, metaforicamente parlando, costretti a pagare i pertugi dei nostri nonni o padri.
Vengo al punto: nella mia esperienza universitaria mi è capitato di prendere atto di eccessivi episodi di assenteismo ed insufficiente disponibilità tra i docenti oltre che di negligenza da parte di molti impiegati delle segreterie studenti.
Chi deve vigilare su tutto ciò? Perché un docente poco motivato o poco virtuoso deve occupare una cattedra fino a 72 anni, sottraendo il posto ad una persona più motivata? Per molti professori valenti e rispettabili, ce ne sono altri che non prestano sufficiente attenzione alla propria professione: sfido qualunque studente universitario a dire il contrario. Non parlo di problemi di lieve entità, ma di una mentalità invalsa tra molti dipendenti ti i quali, convinti di poter mantenere il proprio posto indipendentemente dall’ impegno profuso nello svolgimento del servizio per il quale si è stati assunti, contribuiscono a rendere meno produttivo il sistema universitario.
Ecco, credo che il vero problema dell’università sia proprio questo. Senza operosità o controllo tra gli addetti ai lavori, la qualità di ricerca ed insegnamento è destinata a dipendere dal buon senso di quella percentuale di docenti virtuosi. Ben venga quindi la proposta del partito di creare una sorta di “CSM dei docenti”.
Obbligatorio quindi parlare di riforme “politiche”, ma credo che in questo caso si debba partire dal basso, e mettere in discussione il posto di coloro i quali non adempiano al proprio compito, mediante la creazione di organismi ad hoc. Un’idea potrebbe essere l’istituzione di contratti a tempo determinato (7-8 anni), auto rinnovabili qualora il docente o l’impiegato raggiunga dei criteri di produttività minimi (contando nel caso dei docenti: pubblicazioni accademiche, attività di insegnamento, convegni ai quali si è presa parte, ed altre voci ritenute opportune dalla commissione).
Le esternazioni di Brunetta sugli statali si commentano da sole, ma affrontare il problema della spesa pubblica e del lavoro statale dipendente non solo dal punto di vista non meramente fiscale e finanziario, ma del virtuosismo produttivo, potrebbe essere un’idea interessante.

Valerio Bianconi

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