lunedì 28 febbraio 2011

Partecipa al Sondaggio sulla "Carta Giovani" !




Il Dipartimento Giovani dell’Italia dei Valori per dare un nuovo impulso alle politiche giovanili nella nostra Regione ha pensato di farsi promotore di un sondaggio per raccogliere le prime impressioni sulla Carta Giovani Regionale.

Che cosa è vi chiederete?!

Ebbene è uno strumento che pensiamo possa essere utile e congeniale alla realizzazione di alcune delle nostre esigenze.

Nella nostra regione ci sono delle realtà in cui la Carta Giovani rilasciata dai Comuni è una solida realtà, come nel caso del Comune di Perugia, o è uno strumento di sempre maggiore interesse come testimoniano le recenti esperienze di Città di Castello e della Media Valle del Tevere.

Occorre quindi dare una maggiore diffusione ed omogeneità a questo strumento ed abbiamo quindi pensato ad una Carta Giovani Regionale che consenta a tutti i giovani delle nostra Regione di avere delle agevolazioni su vari servizi.

Altre Regioni italiane, come il Lazio e il Piemonte, si sono già dotate di questo strumento, e ci piacerebbe quindi poter proporre un’iniziativa simile anche in Umbria.

Il sondaggio che vi proponiamo vuole quindi testate quali potrebbero essere i servizi che maggiormente interessano i giovani umbri, sono poche domande che vi ruberanno solo pochi minuti. Le risposte saranno ovviamente anonime.

Vi chiediamo di rispondere per aiutarci a calibrare e migliorare il progetto che ci piacerebbe sottoporre all’attenzione degli Amministratori locali.

I risultati del sondaggio, che resterà aperto fino al 1 marzo (domani), vi verranno comunicati non appena analizzati.


Per rispondere al sondaggio clicca sul link qui sotto:

domenica 27 febbraio 2011

Dov'è la libertà, lì è il mio paese


Sabato 25 Febbraio si è tenuta in piazza della repubblica una manifestazione di solidarietà nei confronti del popolo libico, alla quale hanno partecipato PD, IDV e PRC. Come giovani, oltre ad aderire a tale iniziativa, abbiamo deciso di organizzare autonomamente un sit-in presso l’università per stranieri, appendendo sul portone principale, un nostro striscione che recitava: “Dov’è la libertà, lì è il mio paese”. Una famosa frase di Benjamin Franklin che ben sintetizza, specie nel contemporaneo mondo globalizzato, la necessità di superare i confini e soprattutto le barriere geopolitiche ed economiche che ci separano. Ognuno conservando e tutelando il proprio patrimonio culturale, umano, ambientale coscienti che la memoria e la difesa delle proprie tradizioni sono necessari per conoscere e rispettare quelle degli altri. Con tali presupposti si può giungere ad una società aperta e multietnica nella quale si esprimano una pluralità di sensibilità e bisogni tra cui quelli che riteniamo più impellenti: il miglioramento della qualità della vita e dello sviluppo, la salvaguardia dell’ambiente naturale, la valorizzazione del lavoro come parte integrante dell’identità dell’individuo. Queste che sono necessità dei giovani di tutto il mondo, ovunque vanno difese ed interpretate. Per questo motivo esprimiamo un sentimento di piena fratellanza nei confronti del popolo libico e di tutti coloro che ovunque nel mondo lottano per l’emancipazione e la libertà della propria gente. Allo stesso tempo vogliamo marcare il nostro più profondo dissenso nei confronti del Governo, che dopo essersi genuflesso nei confronti di una spietata dittatura, solo nelle ultime ore pare( il fatto non è comprovato da alcun atto ufficiale) aver preso la decisone di sospendere il trattato italo-libico. Trattato che va ricordato, sbugiardando i demagogici racconti del colonnello e del cavaliere, non costituisce una riparazione nei confronti del popolo libico per gli anni della colonizzazione e neppure un freno al problema immigrazione, ma è piuttosto il frutto di reciproci interessi individuali.

Siamo coscienti che l’obiettivo di un mondo libero e pacifico non sarà affatto facile da realizzare; il primo passo verso questa direzione è una nuova politica estera, del nostro paese e dell’UE, che superando tatticismi e facili vie, rimetta al centro i diritti sociali e della persona. L’unica Realpolitik di cui vogliamo essere portavoce infatti è quella della pace, dello sviluppo, della coesistenza tra i popoli.

Un’ utopia per cui vale la pena lottare...


Dipartimento Giovani Italia dei Valori dell’Umbria

venerdì 25 febbraio 2011

GRANDE SUCCESSO PER L'INIZIATIVA NON BRUCIATECI IL FUTURO; DA TERNI FORTE IL NO ALL'INCENERIMENTO



Si è svolta sabato scorso, con successo e grande partecipazione, presso la sala conferenze dell'hotel Michelangelo a Terni, l'assemblea cittadina “Non bruciateci il futuro” organizzata e voluta da IdV, Rc, SEL. Nella sala gremita di gente l'assemblea è stata aperta dal coordinatore cittadino dell'IdV Terni, Tommaso Filidei che partendo da un chiaro rifiuto del piano dell'ATI sui rifiuti ha invece illustrato gli obiettivi del piano alternativo sottoscritto dai tre schieramenti i cui punti principali sono così sintetizzati nel documento reso disponibile: piano operativo per la riduzione dei rifiuti alla fonte; raggiungimento dell'obiettivo minimo del 65% di raccolta differenziata; costruzione del polo industriale del recupero e del riciclo; applicazione effettiva della tariffa... il tutto accompagnato poi dalla massima trasparenza e dall'individuazione di reali percorsi partecipativi.


“Si può discutere su tempi e modalità ma non sulla direzione da prendere” ha sottolineato Filidei,

Hanno quindi fatto seguito gli interventi programmati con le relazioni del dott. Vantaggi, di Medici per l'ambiente, che è partito dalla locuzione di “pandemia silenziosa” per spiegare gli effetti dannosi dell'incenerimento sulla salute umana, seguito da Lino Busà, presidente nazionale di SOS impresa, che ha invece sottolineato i rischi enormi di infiltrazioni mafiose nell'ambito del ciclo di rifiuti per finire con Alessio Ciacci, assessore di Capannori (Lucca) che ha invece illustrato la fattibilità del modello positivo “rifiuti zero”, obiettivo quasi interamente raggiunto dal suo comune.

Presenti in sala anche rappresentanti delle istituzioni, fra cui i due consiglieri regionali Damiano Stufara (Rc) e Paolo Brutti (IdV) i cui interventi hanno aperto lo spazio dibattiti.

Chiara la posizione di IdV in regione, illustrata da Paolo Brutti: “ Vogliamo una politica dei rifiuti che escluda l'incenerimento, non ci piegheremo a soluzioni differenti” ha ribadito il coordinatore regionale di IdV. “ Bisogna però mantenere alto il grado della mobilitazione civile, ha poi aggiunto, la probabilità che gli inceneritori vengano realizzati è purtroppo alta, e bisogna mettere in campo le strategie a disposizione, fino a ricorrere, se necessario, al referendum abrogativo.”

Brutti ha sottolineato come l'argomento in Regione abbia provocato non poche tensioni all'interno della maggioranza e come le difficoltà maggiori siano rappresentate, anche in Umbria, dai cosiddetti poteri forti, in questo caso gli interessi economici che si celano dietro il ciclo dei rifiuti.

“L'Umbria, ha concluso, potrebbe diventare una regione faro per tutte le altre per quanto riguarda la differenziazione, il riciclo e il riuso.”


giovedì 24 febbraio 2011

CORSA SEMPLICE A UN EURO? SCELTA TARDIVA E INEFFICACE


TRASPORTO PUBBLICO. DOTTORINI E MINELLI (IDV): RIPORTARE BIGLIETTO UNICO A UN EURO

Con l’aumento delle tariffe si disincentiva l’uso del mezzo pubblico. Scongiurare l’aumento del 30 per cento degli abbonamenti”


La parziale marcia indietro del comune di Perugia sull'aumento del biglietto unico ci appare tardiva e inefficace. Prima il comune aumenta del 50 per cento il prezzo del biglietto unico, scontentando centinaia di studenti e pendolari e scoraggiando l’uso del trasporto pubblico, poi cerca di riparare al danno introducendo una corsa per un solo mezzo al prezzo di un euro, aumentando contestualmente il costo degli abbonamenti del 30 per cento. Come dire, un errore per riparare a un altro errore”. Con queste parole Oliviero Dottorini, capogruppo dell’Italia dei Valori in Consiglio regionale, e Matteo Minelli, responsabile del dipartimento Giovani dell’Italia dei Valori, commentano la notizia dell’introduzione da parte del comune di Perugia di un biglietto per un solo mezzo al prezzo di un euro.

"Comprendiamo – continuano Dottorini e Minelli - le difficoltà del comune di Perugia per la riduzione dei finanziamenti statali per il trasporto pubblico e ancora una volta dobbiamo constatare che la mannaia del governo continua a colpire i cittadini, soprattutto quelli appartenenti alle fasce più deboli. Come avevamo previsto, infatti, i tagli operati alle regioni stanno mettendo a serio rischio la sostenibilità economica delle aziende di trasporto locale. Ma è inutile aumentare le tariffe, anche perché questo produrrà un'ulteriore riduzione dell'utenza, con danni all'ambiente e alla qualità dei servizi. Un aumento delle tariffe pari al 50 per cento, in un comune, quale Perugia, in cui adesso i cittadini pagano più di quelli di altri comuni come Roma, Firenze, Napoli, Milano e Torino, rischia però di produrre l'effetto opposto a quello desiderato. Occorre invece che la Regione si faccia carico di avviare serie politiche integrate per un reale rilancio del trasporto pubblico, tagliando su sprechi e inefficienze. Quello che chiediamo è che con un euro si possa acquistare il biglietto unico ad oggi rimasto alla tariffa di un euro e cinquanta. Accanto a questo servono nuovi piani urbani della mobilità, associati a misure di disincentivazione dell'uso dell'auto privata, e servono politiche più attente alle fasce di reddito e a particolari fasce di utenza, come ad esempio gli alunni delle scuole".

Occorre quindi incentivare quanto più possibile l'utilizzo del trasporto pubblico, anche prevedendo condizioni favorevoli per alcune fasce di utenti, e contemporaneamente disincentivare l'utilizzo del mezzo privato – concludono gli esponenti Idv -. Si può cominciare subito, con una politica tariffaria più equa ed efficace che ad esempio preveda un forte sconto per l'abbonamento scolastico del secondo figlio e ancor più del terzo, e così via. In questo modo la Regione Umbria potrà mostrare anche come risponde a un governo nazionale che continua a sbandierare, ma solo a parole, la 'tutela della famiglia', per poi, di fatto, tagliarle ogni servizio, a partire da quelli del trasporto pubblico".


foto da minimetro.com

Il Ricordo di Sandro Pertini..


Cade oggi il ventunesimo anniversario della morte di Sandro Pertini. Nell’anno in cui ricorre il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, ricordiamo il Presidente che nell’immaginario collettivo, ha sintetizzato meglio l’idea di compattezza e armonia nazionale. Noi vorremmo tuttavia onorare Pertini senza enfasi retorica, riscoprendo quegli aspetti della sua biografia spesso oscurati nella memoria comune. Se oggi i mezzi di comunicazione , per pochi secondi, menzioneranno questo anniversario( non è affatto scontato che lo facciano), assisteremo alla consuetudinaria rappresentazione. Quella stampata nelle menti di molti giovani, un Presidente che, burlandosi del suo omologo tedesco, festeggia la vittoria ai Mondiali spagnoli dell’ 82’, o che magari gioca a carte sull’aereo di ritorno con i calciatori della Nazionale. Questo immaginario, l’unico ad essere veicolato, ha finito per offuscare la reale portata umana e politica dell’individuo. Noi vogliamo ricordare un altro Pertini, l’ oppositore della dittatura ,il dirigente politico, ma soprattutto l’uomo retto. Nato nel 1894 , aderì nel 1918 al Partito Socialista, arrestato per la prima volta nel 1926 dal regime fascista, dopo un periodo di prigionia, espatriò in Francia. Rientrato clandestinamente fu nuovamente incarcerato nel 1928 e dopo sette anni di galera fu condannato al confino a Ponza e Ventotene, scontando complessivamente quindici anni di reclusione. Nel corso della sua prigionia non abiurò mai la propria fede politica, sprezzante nei confronti del Tribunale Speciale, rifiutò sempre di inoltrare quella domanda di grazia, che avrebbe alleviato la durata e l’intensità della sua pena. Liberato con l’armistizio del 1943, militò tra le fila della Resistenza, arrestato dai tedeschi riuscì a fuggire dal carcere di Roma e a raggiungere Milano, dove divenne uno dei massimi dirigenti del Comitato di Liberazione Nazionale. Nel dopoguerra collaborò da protagonista alla riorganizzazione del PSI; fu sempre sostenitore dell’unità delle sinistre e contribuì alla crescita di quel pensiero socialista liberale, in cui diritti individuali ed equità sociale costituiscono un binomio inscindibile. Divenuto nel 1978 Presidente della Repubblica, diede al suo mandato una forte impronta democratica; basti ricordare la feroce denuncia dei vergognosi ritardi che caratterizzarono gli interventi di soccorso in occasione del terremoto in Irpinia del 1980. Sandro Pertini dovrà essere sempre ricordato come uno straordinario simbolo della Resistenza, e come uno strenuo promotore e difensore di quei valori fondanti della nostra democrazia, quali libertà, giustizia sociale, onestà e rispetto delle istituzioni. Principi che sebbene vengano quotidianamente mortificati e rimessi in discussione, sono gli unici sui quali fondare una società migliore di questa. Ci manca Sandro Pertini, ci manca la sua coerenza, ci manca la sua rettitudine, ci mancano la sua caparbietà e il suo coraggio. Ci manca ancora di più perché oggi nello stesso parlamento siedono Razzi, Barbareschi, Scilipoti, e tanti altri che non valgono il fumo della sua pipa.


I giovani non hanno bisogno di sermoni,

i giovani hanno bisogno di esempi di onestà,

di coerenza e di altruismo


martedì 15 febbraio 2011

Intervista ad Alessio Tardocchi


Pubblichiamo un'intervista, comparsa su un mensile di Umbertide, ad Alessio Tardocchi, giovane esponente dell’Italia dei Valori e membro dell’esecutivo altotiberino del partito dipietrista.

Tardocchi come prosegue l’azione politica dell’Idv ad Umbertide?

Direi bene, anche se con qualche difficoltà. Purtroppo il non aver conseguito una rappresentanza in consiglio comunale alle scorse elezioni ci ha un po’ penalizzato dal punto di vista della visibilità. Nonostante questo abbiamo sempre cercato di dire la nostra nelle sedi opportune come i consigli di quartiere e le commissioni consiliari. Ci siamo adoperati per la raccolta firme per i tre referendum presentati da Italia dei Valori, abbiamo organizzato alcuni dibattiti su temi che ci stanno particolarmente a cuore e, in generale, abbiamo sempre cercato di far percepire la nostra presenza sul territorio e di trasmettere le nostre idee.

E la questione del circolo? Sappiamo che, dopo essere stato fondato l’anno scorso, ora fa parte di una più ampia struttura che comprende tutta l’Alta Valle del Tevere.

Si il partito ha ritenuto opportuno accorpare, da un punto di vista puramente organizzativo, Umbertide e Città di Castello creando un unico circolo altotiberino. Questo però non ci ha penalizzato anzi, tre dei nove membri dell’esecutivo del circolo sono umbertidesi, possiamo continuare a far sentire la nostra voce e ad essere incisivi sulla linea politica territoriale. Siamo un gruppo giovanissimo, in pratica quasi tutti gli iscritti di Umbertide sono under 30 e continuiamo ad essere contattati da altri ragazzi che si vogliono tesserare e vogliono dare un contributo a Italia dei Valori.

Sicuramente i giovani vedono in voi un’alternativa agli altri partiti più radicati nel territorio. Come si concretizza questa spinta al cambiamento a livello locale? Quali proposte vi sentite di avanzare con maggior forza per Umbertide?

In questo periodo di crisi è chiaro che la priorità sono i lavoratori che rischiano di perdere il proprio posto. Dobbiamo dare atto all’amministrazione comunale di aver affrontato bene, limitatamente alle competenze comunali, le questioni più calde sul tavolo. Penso ad esempio alla Solfer, alla Piselli o alla Seas. Si è riusciti a mantenere una coesione sociale che, in un periodo come questo, è fondamentale. Detto ciò noi abbiamo in mente una città più verde e meno cementificata, con piste ciclabili e aree di ritrovo che favoriscano la socializzazione. Una città che ricicli di più, dove venga avviato un servizio serio di raccolta differenziata che ci permetta di fare la nostra parte nel drammatico quadro regionale. Una città con una politica trasparente ed inclusiva, dove tutti i cittadini siano parte integrante delle scelte dell’amministrazione. Una città con una cultura sportiva avanzata non solo sul calcio ma su tutte le discipline. Una città che possa offrire ai giovani occasioni di svago ed eventi culturali di rilievo senza costringerli ad andare sempre altrove a cercarli.

A tutti gli esponenti degli altri partiti intervistati finora abbiamo chiesto un’analisi della situazione politica nazionale.

La prima cosa da dire è che, senza ombra di dubbio, siamo al punto più basso mai toccato dalla nostra democrazia. A me personalmente interessa, più che l’infinita serie di scandali cui abbiamo assistito, il fatto che il governo è completamente immobile, il paese non sta crescendo e settori fondamentali come la cultura, l’istruzione e l’innovazione tecnologica sono sati completamente trascurati.

Crede quindi che l’unica soluzione praticabile sia il ritorno alle urne immediato?

D’istinto risponderei di si. Bisogna però ricordarsi che con questa scandalosa legge elettorale non solo il cittadino non può scegliere i propri rappresentanti ma si rischierebbe di non avere una maggioranza in grado di governare e di ritrovarsi, di qui a pochi mesi, nella stessa situazione attuale. Un governo che faccia la riforma elettorale e una finanziaria per ripartire potrebbe essere una soluzione. Se non c’è la possibilità meglio il voto subito.



E in caso di elezioni, a suo parere, che alleanze dovrebbe stringere l’Idv?

Nell’arco del centrosinistra, come è ovvio, il principale interlocutore è il Partito Democratico. Mi sembra, però, che l’immobilismo di Bersani e degli altri dirigenti non sia più tollerabile. Il Pd deve scegliere con chi stare: se si continuano a prospettare ridicole alleanze con Casini o con i finiani Di Pietro deve sganciarsi dai nostri alleati e fare una scelta di campo dialogando con le altre forze della sinistra, la nostra parte politica.



In Piazza per il Diritto all'Autodeterminazione


Sabato scorso i giovani dell'Italia dei Valori hanno presidiato le principali piazze italiane lanciando una campagna informativa al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema del fine vita. E' una risposta allla discutibilissima scelta del governo Berlusconi di indire la “Giornata nazionale degli Stati vegetativi”, nello stesso giorno in cui è morta Eluana Englaro.





I giovani dell'Idv, sono stati presenti presenti anche in piazza della Repubblica a Perugia per sostenere il diritto all'autodeterminazione e promuovere ovunque l'istituzione del “testamento biologico”. Una sceltà di libertà contro un governo, quello si, in stato vegetativo.


comunicato stampa presente anche su Umbria Left


venerdì 11 febbraio 2011

Idv Giovani Umbria con la Fiom

Venerdì 28 Gennaio il Dipartimento Giovani IdV dell’Umbria ha aderito alla sciopero generale dei metalmeccanici indetto dalla FIOM-CGIL, partecipando attivamente alla manifestazione regionale tenutasi presso il centro FIAT di via Piccolopasso.Come partito e come giovani abbiamo infatti ritenuto doveroso portare il nostro sostegno ai lavoratori e alle lavoratrici di questo settore, i cui diritti, mai come oggi, sono rimessi in discussione e sottoposti ad una violenta tentativo di contrazione.

Ci pare doveroso tuttavia ad una settimana di distanza aprire una serie di riflessioni sul tema della condizione del lavoro, in particolare quello giovanile, all’interno dell’attuale quadro economico, e sul ruolo che il sindacato è chiamato a ricoprire nella modernità.Negli ultimi vent’anni UE, associazioni di lavoratori e imprenditori, oltre che numerosi giuslavoristi ed economisti hanno sostenuto la necessità di flessibilizzare il mercato del lavoro, sostenendo che ciò avrebbe comportato un aumento dell’occupazione e della competitività sui mercati internazinali.Nel nostro paese questo bisogno si è tradotto in una serie di provvedimenti legislativi, volti a sradicare il quadro etico e normativo sul quale si basava il mondo del lavoro. Tra i principali ricordiamo il “protocollo d’intesa” tra governo e parti sociali del Luglio 1993, il pacchetto Treu del 1997 e la legge trenta del 2003.Con tali palesi deregolamentazioni allo statuto dei lavoratori(entrato in vigore il 20 Maggio 1970, e tuttora da considerarsi il punto più avanzato della legislazione in materia di occupazione), sono stati introdotti: il lavoro interinale e a chiamata,quello in affitto e in somministrazione, l’orario pluriperiodale,l’illimitata replicabilità di contratti flessibili, l’abolizione della norma che vietava limiti di contenimento all’impiego dei contratti atipici e quella che vietava l’interposizione di soggetti terzi tra lavoratori e impresa.Due gli assunti a sostegno di tali provvedimenti, il primo di carattere ideologico sarebbe quello secondo cui il lavoro, inteso almeno nelle sue forme classiche, nella contemporaneità è ormai un arcaismo, un retaggio del passato e che presto le trasformazioni introdotte dalle nuove tecnologie(ICT) contribuiranno inesorabilmente a far scomparire alcune forme di occupazione, in particolare quelle a qualificazione medio-bassa e ad alta intensità di forza-lavoro.Il secondo invece è il principio secondo il quale il nostro sistema paese non sarebbe adeguatamente efficiente, produttivo e competitivo, per reggere l’impatto delle economie delle nazioni in via di sviluppo.


(Punto primo)In realtà, perfino da studi di enti governativi, emerge il quadro opposto: nel nostro paese, e in molti altri dell’UE, si assiste a situazioni diffuse di densificazione e intensificazioni dell’occupazione( 7 mln gli individui che praticano un “labo-intensive job”), correlate ad altri fenomeni assai preoccupanti quali l’immissione nel mercato del lavoro di fiumi di soggetti ad alta qualifica professionale, che non trovando spazi occupazionali nel proprio settore, si riversano in altri campi( naturalmente meno remunerativi e privi di competenze specifiche), contribuendo a far diventare la forza-lavoro una merce abbondante e di conseguenza di scarso valore.Il risultato, dal punto di vista sociologico, di questo quadro economico e normativo, è la nascita della società flessibile, e della dimensione della precarietà.Nel nostro paese i lavoratori flessibili , tra regolari e irregolari, pubblici e privati, sono ormai più di 11 milioni, e visto il trend degli ultimi anni andranno sicuramente aumentando, e di pari passo ad essi aumenterà la disoccupazione giovanile, già ad oggi ai massimi storici.Dovrebbe essere perciò pacifico che tale società non soltanto non contribuisce al benessere collettivo, ma comporta anche la rottura di gravissimi equilibri individuali.La condizione sociale umana che deriva da una sequenza di contratti atipici di durata determinata implica per il soggetto che vi è sottoposto semplicemente insicurezza, che partendo dal mondo professionale investe l’intera esistenza.Il lavoratore contemporaneo subisce i costi umani, sociali, familiari della flessibilità; paga in termini di carriera, percorsi formativi iniziati e interrotti, di fatica fisica, di stress mentale ed emotivo, di totale e supina dipendenza dalle decisioni dell’impresa.Anche nei paesi europei, assai più civili e avanzati del nostro, nei quali la flessibilità è coniugata con la sicurezza sociale( flessi-sicurezza), il prezzo che il lavoratore paga, non più nell’ambito salariale ma in quello etico e sociale, resta assai oneroso.(Punto secondo)La flessibilità, che dovrebbe permetterci di aumentare competitività e livelli occupazionali, è un fenomeno riconducibile al più generale processo di globalizzazione, e in conseguenza di ciò secondo alcuni sarebbe inarrestabile.É infatti vero che l’eccesso di manodopera a basso costo, priva di diritti, immessa nel mercato mondiale da paesi in via di sviluppo, nei quali non esiste alcuna legislazione del lavoro, ha provocato la perdita di gran parte del potere contrattuale, di cui godevano i lavoratori occidentali.Ormai da circa vent’anni le 100.000 principali corporations transnazionali, che realmente controllano l’economia globale, lavorano affinchè l’incontro tra salari e diritti degli occupati nei paesi occidentali e quelli dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo si incontrino nel punto più basso.Dal 2000 OECD watch , pubblica un rapporto sulle violazioni dei diritti umani praticati dalle multinazionali nei paesi dell’ormai ex terzo mondo, spesso all’interno di progetti economici finanziati direttamente dalla Banca Mondiale o dal Fondo Monetario Internazionale.Dovrebbe perciò essere chiaro che nell’economia mondiale per come è stata strutturata negli ultimi vent’anni, non si possa più parlare di scontro tra sistemi-paesi ma bensì di scontro tra interessi di grandi gruppi economico finanziari e i cittadini globali.Le TNC e le loro sussidiarie infatti al di là della sede giuridica e talvolta del nome(vedi FIAT), non hanno assolutamente nulla di nazionale( la FIAT già oggi ha il 75% della propria produzione fuori dal nostro paese), e non sentono alcun vincolo, di natura morale o economica nei confronti dello stato di origine.




É palese che ci troviamo in un mercato globale che è tutto fuorché libero: le grandi multinazionali, cresciute sotto l’ombrello della nazione, vissute in mercati protetti, sostenute ancora oggi attraverso investimenti statali, non solo non riconoscono più nessun legame nei confronti della collettività( intesa tanto in senso locale che globale), ma soprattutto intendono stabilire esse stesse le regole su cui fondare la società contemporanea.Questo quadro non ci pare affatto quello descritto da John Stuart Mill in Sulla libertà o da Adam Smith, nella Ricchezza delle nazioni, quando ci viene presentato il funzionamento di un mercato perfettamente concorrenziale; ovvero un mercato in cui, ricordiamolo bene, le imprese vendono un prodotto omogeneo e non sono sufficientemente grandi per influire in alcun modo sul prezzo del prodotto. Perciò al di là delle ingannevoli ma purtroppo seguitissime “teorie” dei rappresentanti delle grande industrie e dei manager di turno, l’economia moderna non è affatto libera e loro sono tutto tranne che liberali.Si potrebbero ora fare alcune considerazioni di carattere etico e magari ricordare amministratori di grandi aziende come Enrico Mattei, la cui attività fu tutta concepita al fine di tutelare gli interessi nazionali oppure come Adriano Olivetti, il teorico dell’impresa responsabile.Tuttavia questo tipo di argomentazioni risulterebbero pressoché inutili al fine di modificare l’attuale quadro economico globale.

Nei paesi occidentali a pagare le conseguenze di questo stato di cose, in termini di reddito, diritti e talvolta dignità, sono in primo luogo i giovani.Le nuove generazioni infatti, non possiedono più alcuna tutela al loro ingresso nel mercato del lavoro; nessun contratto nazionale li protegge, nessun sindacato li assiste.Il contratto imposto ai lavoratori di Mirafiori(contro cui continueremo a batterci), nonostante rappresenti un chiaro passo indietro sul piano dei diritti e della rappresentanza sindacale, è comunque un miraggio per le decine di migliaia di giovani che oggi iniziano il loro percorso lavorativo.Chi è abituato a convivere con contratti di lavoro in affitto o in somministrazione, intermittente, ripartito o a prestazione occasionale, la sua “Pomigliano” la vive ogni giorno.Sebbene non intendiamo disconoscere il ruolo storico del sindacato nel nostro paese, dobbiamo constatare che le associazioni di categoria ben poco hanno fatto per difendere le nuove generazioni, preferendo sempre privilegiare gruppi molti meno numerosi di lavoratori e spesso assai più tutelati dal punto di vista normativo.Talvolta il sindacato ha risposto a interessi esclusivamente propri e corporativi, portando avanti politiche del lavoro ormai superate.



Bisogna essere onesti: la battaglia per cambiare l’attuale indirizzo della politica economica globale non è affatto facile da vincere.In primo luogo occorre battersi su un piano culturale, e lottare affinché si ristabilisca un principio sancito dalla Dichiarazione di Philadelphia del 1944: il lavoro non è un merce.Viceversa esso è una parte integrale e integrante del soggetto che lo presta, dell’identità della persona, dell’immagine di sé, del senso di autostima.Nel nostro paese è necessario sempre ricordare alcuni articoli della nostra costituzione:il 36 “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, art .41 “l’iniziativa economica privata(…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, art. 46 “Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge alla gestione delle aziende”.Come detto precedentemente il problema del lavoro e della flessibilità è un problema mondiale, e perciò ha bisogno di soluzioni internazionali.La politica globale, se non fosse com’ è oggi supina ad interessi particolari invece di interessarsi alle necessità collettive, dovrebbe perseguire un chiaro obiettivo:far salire il livello, delle retribuzioni (a parità di costo della vita ) e dei diritti dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo, parificandoli a quelli dei lavoratori occidentali, così da permettere l’instaurarsi di una competitività sana e non distorta come invece è quella attuale.Questo processo non è sicuramente facile, tuttavia esistono alcuni mezzi con cui in un medio-lungo periodo si potrebbe modificare l’attuale edificio economico mondiale.In primo luogo è necessario che le organizzazioni internazionali accertino e perseguano legalmente le responsabilità delle grandi corporations( o delle loro sussidiarie), nell’ambito della violazioni dei diritti umani e dei lavoratori, tanto nei paesi in cui hanno sede giuridica quanto nei paesi in cui operano.É necessario introdurre nuovi parametri nelle modalità di finanziamento dei progetti industriali promossi da FMI e BM, al fine di garantire e uniformare universalmente salari e diritti.Occorre promuovere codici di responsabilità etica e sociale delle imprese, che contengano l’impegno di omologare, tenuto conto dei differenziali di produttività e del costo della vita, condizioni di lavoro dei propri dipendenti in tutte le loro sedi.Sviluppo di enti nazionali e internazionali che si occupino di dare impulso alla crescita dei cosiddetti “investimenti responsabili”.

Naturalmente la natura di tali interventi è sovranazionale; nel nostro paese allo stesso tempo occorre portare avanti una generale revisione della legislazione sul lavoro, nella quale partendo dagli articoli della costituzione sopracitati, si introducano nuove regole sulla rappresentanza sindacale( sul modello della proposta di legge elaborata dal Dipartimento Lavoro dell’Italia dei Valori in accordo con la FIOM), si “legalizzi” la figura/classe sociale del precario( con la creazione di adeguati ammortizzatori sociali e processi di formazione: è utile ricordare che l’Italia spende solo l’1,4% del PIL in politiche del lavoro, contro il 4,5% della Danimarca ad esempio), si permetta la nascita di forme d’impresa in cui realmente i lavoratori possano partecipare democraticamente ai processi produttivi, condividendo i rischi e allo stesso tempo gli utili delle attività imprenditoriali.

Noi giovani per primi dobbiamo coltivare una nuova idea di progresso, basato sullo sviluppo sostenibile, su uno stato efficiente, sull’impresa responsabile, su nuovi modelli di consumo, su una legislazione del lavoro moderna e trasparente, in cui siano chiari i doveri e i diritti dei lavoratori.Un progresso che rimetta al centro il Lavoro, di qualsiasi natura esso sia, purché contribuisca alla creazione di una società in cui il libero sviluppo di ognuno sia la base del libero sviluppo di tutti.

Globalizziamo l’economia, globalizziamo i diritti…..


giovedì 10 febbraio 2011

10 Febbraio - Giorno del Ricordo


Nella Giornata del Ricordo è importante esprimere vicinanza e solidarietà alle famiglie delle vittime, ai superstiti delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, uno dei numerosi e atroci drammi che si consumarono durante il secondo conflitto mondiale. Un dolore che, a quanto pare, ha insegnato poco: con amarezza si assiste all’uso di fatti storici come mezzo di propaganda politica e strumento di divisione nazionale. I moderni gendarmi della memoria, sguinzagliati dal governo, mistificano il passato affinché le nuove generazioni non possano coltivare la memoria storica del nostro Paese. Ultimamente si è assistito a eventi aberranti come i manifesti del 25 Aprile sui muri di Salerno in cui si celebrava la “libertà dal comunismo” o la cancellazione della festa della Liberazione dai calendari leghisti del Veneto. È necessario riaffermare la verità storica e innescare un processo di riconciliazione nazionale ed europea. Il primo passo lungo questa tortuosa via è il riconoscimento delle proprie responsabilità da parte di tutti.

Quando nell’aprile 1941 il regno di Jugoslavia fu invaso dalle potenze dell’Asse, l’Italia annesse parte della Slovenia (Lubiana), della Dalmazia, e la zona delle Bocche di Cattaro. Negli anni dell’occupazione il regio esercito diede il via a una brutale italianizzazione di queste province, con l’evidente tentativo di eliminare l’intero patrimonio culturale, linguistico, etnico delle popolazioni croate, slovene e montenegrine. L’istituzione di campi di concentramento, le esecuzioni sommarie, gli incendi di interi villaggi, le razzie e gli stupri, furono i mezzi con cui i generali italiani piegarono la tenace resistenza delle genti jugoslave.

Così dicendo non si vogliono minimizzare le violenze perpetrate nei confronti della nostra comunità da parte delle truppe di liberazione del maresciallo Tito, né si intendono mettere a confronto le dimensioni dei due atti, entrambi aberranti. Si vuole semplicemente ricordare che, nel corso di una guerra, entrambi i fronti agiscono con crudeltà e violenza. Il fatto che un crimine sia compiuto dall’una o dall’altra parte non sminuisce le responsabilità dei criminali, né altera i diritti delle vittime alla memoria e alla giustizia. Tuttavia è nostro dovere ricordare che l’infame decisione dello Stato Italiano di non ricordare per lungo tempo i suoi figli uccisi (tanto gli esuli istriani e dalmati, quanto le centinaia di connazionali morti nelle stragi nazifasciste) e di non punire i colpevoli degli eccidi, è il frutto di una precisa scelta politica: non perseguire per non essere perseguiti. Come scrisse il nostro ambasciatore a Mosca, Pietro Quaroni, nell’estate del 1946: “Non chiediamo l’estradizione in Italia dei criminali di guerra tedeschi, perché altrimenti saremo costretti a concedere l’estradizione dei nostri”. Fu il cosiddetto baratto delle colpe, consumato sull’altare della ragion di Stato, con cui si spiegano il silenzio, le rimozioni, l’armadio della vergogna. Sarebbe necessario che in futuro si istituissero celebrazioni condivise tra tutti i popoli protagonisti del conflitto, in cui si ricordino le vittime e si stigmatizzino le opposte carneficine.

Un unico punto, tuttavia, non può essere messo in discussione: senza la lotta degli alleati, la guerra di liberazione nazionale e l’indispensabile contributo etico e morale delle forze della resistenza, nel nostro Paese oggi non avremmo una Costituzione da difendere e una libertà per cui varrà sempre la pena combattere.

mercoledì 9 febbraio 2011

Se Non Ora, Quando?


Questa settimana è cominciata, di nuovo, con ampie prime pagine dedicate al mestiere piu' antico del mondo. I principali quotidiani nazionali, infatti, continuano a parlare quasi esclusivamente del sempre piu' ampio harem (o dovrei dire postribolo..) del premier, propinandoci ogni giorno, o peggio, ogni ora, un nuovo nome da inserire nella lista delle sue favorite o una nuova nauseante intercettazione dalla quale estrapolare preziose dritte su come spillare soldi, case e contratti a un settantenne allupato. Questa settimana è iniziata come tante altre, quindi, ma termina con una grande mobilitazione nazionale: domenica prossima, in quasi tutte le piazze italiane, sono state organizzate manifestazioni e sit-in per difendere la dignità delle donne. La protesta non nasce in seguito alle rivelazione sui festini di Arcore: nasce dall'esasperazione di una situazione che va avanti ormai da troppo tempo, sostenuta forse, in parte, dal maschilismo di alcuni, ma sopratutto dalla stupidità, di tanti uomini e di tante donne. La stupidità degli uomini sta nel considerare le donne come belle cose (le brutte, si sa, non si considerano affatto): oggetti sessuali per serate tra amici dopo tante ore di lavoro, specchietti per le allodole nelle liste elettorali, ornamenti in Parlamento, merce di scambio per vincere magicamente appalti e incarichi di vario tipo, culi e tette da guardare durante un quiz televisivo come in una noiosa riunione di partito. La stupidità delle donne sta nel credere di essere piu' furbe: piu' furbe degli uomini che le considerano come belle cose, piu' furbe delle altre donne. Di quelle che studiano, di quelle che lavorano, di quelle che con 110 e lode devono accontentarsi di un lavoro precario e sottopagato, di quelle che fanno la gavetta, di quelle che non si vendono. Di quelle che hanno dignità. Ed è proprio la dignità di tutte noi ad essere insultata, ormai quotidianamente da questo governo, dai suoi rappresentanti, dalle sue leggi e dalle sue televisioni. E il premier non è ovviamente da meno, anzi. Ci siamo sentite dire che per combattere il precariato dobbiamo sposare un uomo ricco, che abbiamo meno necessità di studiare rispetto a un uomo, addirittura che siamo sedute sulla nostra fortuna. Per non parlare di quando si riferì alla Bindi con l'ormai celebre “lei è piu' bella che intelligente” o parlò di Eluana come una donna che “poteva avere figli”. Berlusconi in questi anni ci ha abituato a vergognarci, non solo di lui e delle sue affermazioni ma anche di tanti nostri connazionali, e non solo perchè quando è il momento decidono di votarlo, ma perchè condividono con lui l'assoluta mancanza di valori e contenuti. Appoggiare quest'uomo, vuol dire condividere le sue idee, il suo modo di vedere la vita e il suo modo di considerare le donne. Molte persone, infatti, in questo periodo commentano le ultime vicende dicendo che ognuno è libero di fare quel che vuole nella propria camera da letto: questo avrebbe senso per un libero cittadino, che non rappresenta nessuno fuorchè se stesso e che se ricattato da una prostituta minorenne lede solo la sua immagine (oltre che violare il codice penale..) e non quella di un intero paese. Molti altri ripetono a pappagallo quello che sentono nei videomessaggi alla Bin Laden imposti ai tg delle televisioni pubbliche e private, altri ancora dicono che è tutta una macchinazione dei comunisti per eliminarlo dalla scena politica, negando l'evidenza come la Santanchè insegna.

Le donne italiane non sono tutte cosi'. Non ci sentiamo rappresentate da chi ha raggiunto i vertici della carriera politica percorrendo scorciatoie che passano per la discoteca seminterrata di Arcore. Il paese è pieno di donne e ragazze che studiano, lavorano e vivono in modo dignitoso e onesto: finchè non saranno donne cosi' a rappresentarci, ci sarà sempre bisogno di scendere nelle piazze per dire basta.


ulteriori info "Se non Ora Quando?"

domenica 6 febbraio 2011

Libertà è Partecipazione!

Da una parte ci sono i fascisti e i delinquenti, dall'altra ci sono io. La mia scelta è molto semplice: sono stato, sono e sarò sempre nella parte opposta a queste categorie. Faccio questa scelta nella vita di tutti i giorni, nella politica (dentro e fuori il partito) e nella professione, ed è una scelta molto importante. Per quale motivo? Perchè le persone hanno smesso di scegliere, hanno deciso di non schierarsi più, hanno optato per il disinteresse, come se la situazione non fosse più un loro problema. Purtroppo non è così, il problema continua ad interessarli, anzi sono proprio quelli che dei problemi ne risentono per primi. Di certo Berlusconi a fine mese ci arriva, le sue squinzie anche, così come ci arrivano tutti quelli che siedono in parlamento e nei vari cda sparsi su tutto il suolo italiano; per loro la “monnezza” per strada non è certamente un problema, i loro quartieri sono i primi che vengono tirati a lucido; il pensiero che hanno del nostro paese nel resto del mondo, figuriamoci, non li sfiora minimamente: loro viaggiano in business class, non si mescolano con la gente, non sanno cosa pensa, non la conoscono proprio.

In tutto questo paradosso, noi che facciamo? Con le elezioni regionali del 2010 l'astensione era al 35% circa, un partito, in sostanza; quindi significa che ce ne siamo fregati, come dicevo prima: la politica non è cosa che ci riguarda. Sarà sempre più facile, così, per la futura classe politica, vincere le elezioni, governare e controllare l'intero paese, basterà continuare a foraggiare questo sistema clientelare, scambiando voti per favori.

Il 14 dicembre sembrava che ci stessimo svegliando, manifestazioni in piazza molto partecipate, tafferugli, c'era un malessere generale, la situazione era diventata insostenibile, la gente non ne poteva più: “Ribelliamoci, resistiamo!!”, gridavano tutti. Sono passati meno di due mesi e il clima che si respira oggi è di calma piatta: è finito tutto, abbiamo ottenuto ciò che volevamo! Direi proprio di no, anzi se possibile dopo aver toccato il fondo ora stiamo raschiando il barile, praticamente stiamo messi peggio di prima e siamo diventati tutti ancora più ridicoli. Il 14 dicembre poteva essere una data da ricordare se avesse segnato l'inizio di una guerra civile, di una rivolta vera e propria, invece non è stato altro che una cosa a sè stante e in fine dei conti non è servita a molto. Mi dispiace dover dire così, ma iniziative di questo tipo, lo dicevo allora e lo ribadisco oggi, non servono più. Possono servire in Egitto, dove chi è stato opposto al regime è sceso in piazza e si è scagliato contro quelli che il regime lo sostengono da trent'anni. Non può essere così per noi: c'è un regime anche in Italia, è innegabile, ma quanto siamo disposti ad andare contro quelli che lo sostengono o per lo meno l'hanno votato? La nostra società è spaccata in due, ideologicamente e politicamente, ma negli usi e i costumi siamo tutti uguali, ognuno di noi ha contribuito, fregandosene un po' al giorno, a raggiungere questa situazione.

Il punto è proprio questo, noi dobbiamo smettere di essere indifferenti e iniziare a metterci in gioco per primi, dobbiamo recuperare quel senso civico che abbiamo perso, dobbiamo affrontare i piccoli problemi quotidiani in prima persona, dobbiamo difendere i più deboli e dobbiamo denunciare i soprusi e le nefandezze; solo così recupereremo la nostra dignità e alla fine anche il nostro paese. E' un compito arduo, quanti saranno in grado e avranno la voglia di fare questo lavoro sporco, che non porterà né fama nè notorietà (non potranno recitare i loro slogan su un piedistallo o mettere il loro nome su un volantino), ma che comporterà più che altro fatica e meno tempo libero?

Se il numero di queste persone aumenterà giorno per giorno il risultato si vedrà sicuramente, e a mio avviso avremo anche una certa soddisfazione personale, ci sentiremo meglio con noi stessi e con gli altri, altrimenti...