mercoledì 29 settembre 2010

COMUNICATO STAMPA



Il Coordinamento provinciale di TERNI dell’IDV si è riunito per esaminare il recente Piano Regionale dei Rifiuti, approvato il 5 maggio 2009, che pone al centro della soluzione della gestione dei rifiuti, la costruzione di un inceneritore nella provincia di Perugia, il recupero di quello di Terni ed l’ampliamento delle discariche esistenti.
Nello stesso piano viene esplicitato che “In fase attuativa verranno sostenute iniziative volte all’avvio di attività imprenditoriali finalizzate a garantire il riutilizzo ed il riciclo dei materiali provenienti da raccolte differenziate” e che “l’indicazione in relazione alla nuova impiantistica della possibilità di riferirsi sia a processi di tipo aerobico (compostaggio), che di tipo anaerobico (digestione anaerobica) o anche integrati, purché tali realizzazioni siano previste in linea con le Migliori Tecniche Disponibili di settore” valutando anche metodi alternativi di Pretrattamento dei rifiuti.
L’elemento che vogliamo mettere al centro della discussione è proprio questo, per riaffermare che siamo del tutto contrari alla impostazione e alle scelte politiche e culturali che sono alla base di quei progetti che si limitano a riaffermare la centralità dell’incenerimento e delle discariche.
Esistono in Italia e all’estero esperienze positive di trattamento e pretrattamento dei rifiuti, come per esempio quello implementato dal Centro riciclo di Vedelago, che gestisce dal 1999 un impianto di stoccaggio e selezione meccanica di rifiuti ai fini del recupero dei materiali. Nello specifico l'attività consiste nel ricevere le frazioni secche riciclabili, selezionarle in base alla composizione merceologica, compiere le operazioni necessarie per la riduzione volumetrica, gestire la fase di destinazione in uscita delle singole tipologie di materiali che, in relazione alla possibilità di riutilizzo, vengono consegnati a impianti di seconda lavorazione o a specifiche aziende che li impiegano nei loro cicli produttivi. All'impianto di riciclo conferiscono i comuni, singoli o consorziati, e le aziende produttive che attuano la raccolta differenziata.
La soluzione del trattamento dei rifiuti del genere sopra accennato, si fonda sulla considerazione del rifiuto non più come mero materiale da distruggere o sotterrare, ma come merce da collocare sul mercato; essa è allo stato l’unica strada che appare risolutiva per eliminare gli effetti collaterali sulla salute pubblica che sono certamente nocivi sia nel caso dell’incenerimento per la propagazione degli effetti della combustione nell’aria, sia per la produzione delle ceneri che comunque risulteranno circa 1/3 del volume originario. Tutto questo obbliga alla continua ricerca ed ampliamento delle discariche dove conferire tanto le ceneri, che comunque vanno monitorate, quanto i rifiuti conferiti in discarica che comportano rischi per l’inquinamento dell’ambiente anche di lunga durata.
Sulla base di tali considerazioni riteniamo pertanto che debba essere rivista e aggiornata la proposta del Piano d’Ambito territoriale 4 laddove non vengono contemplate soluzioni alternative all’incenerimento o al conferimento in discarica, alternative rese possibili dallo stesso Piano Regionale.
Più concretamente riteniamo che non sia più possibile trascurare gli elementi di base per un Piano di gestione sostenibile dei rifiuti che sono rappresentati da:

Previsione vincolante immediata nel rispetto della legge e dei regolamenti per la raccolta differenziata attraverso la raccolta porta a porta per tutto il territorio provinciale, che coincide al momento con quello dell’Ambito, unitamente alla soppressione delle campane o dei cassonetti per le strade;
Elaborazione di un piano aziendale che fissi gli obiettivi per le quote di riciclo e indichi chiaramente il modo di raggiungerli, puntando al riciclo totale delle materie attraverso la creazione dei Centri di riciclo
Lo stesso piano aziendale dovrà prevedere che la raccolta differenziata segua criteri di efficienza ed efficacia in modo che, i consorzi preposti, non possano rifiutare i materiali recuperati, ma, anzi, si possa ottenere dal loro conferimento il massimo profitto economico;
Rispetto del criterio di prossimità e di autonomia di ciascun territorio escludendo l’ingresso di rifiuti o materie da fuori Regione;
Applicazione effettiva della tariffa, consistente nella deduzione della quota relativa alla consegna di materiali selezionati per il riciclo da parte del cittadino con conseguente sgravio finanziario.
Inoltre, il progetto per la nuova discarica di Orvieto va stralciato e abbandonato, limitandosi ad un programma di completamento dell’esistente, che tuttavia andrà sottoposto a tutte le valutazioni che tengano conto della riduzione a zero del conferimento dei rifiuti, come sopra specificato. Tutto questo ben sapendo che una gestione del ciclo dei rifiuti fondata sulla creazione di nuove strutture e aziende per il riciclo, la diffusione della raccolta porta a porta e le filiere economiche e operative connesse comportano un importante incremento di posti di lavoro.
Scartare ogni possibile soluzione che preveda la realizzazione di inceneritori (anche di ridotte dimensioni). Gli inceneritori, infatti, hanno bisogno di un quantitativo di rifiuti costante: ciò sarebbe in netta contrapposizione con l’incremento delle percentuali di raccolta differenziata oltre a non avere alcun senso né come bilancio energetico, né a tutela dell’ambiente.

Tali aspetti assumono per L’IDV di TERNI un rilievo di primario ordine e rappresentano una priorità, per i nostri territori e l’intera Regione, se si vuole seriamente parlare di innovazione e sostenibilità.


Maria Elisabetta Valloscuro

lunedì 27 settembre 2010

“GIUSTIZIA, POTERE E SVILUPPO ECONOMICO: NUOVE IDEE PER FAR RIPARTIRE L’ITALIA”

Negli ultimi 15 anni la capacità di produrre e ridistribuire ricchezza da parte dell'economia italiana è costantemente diminuita e il nostro sistema delle imprese ha perso capacità competitiva sia nei confronti di altri paesi industrializzati che di quelli emergenti. Nella nostra visione, la ragione ultima della lenta crescita dell'economia italiana è da attribuirsi ad un sistema produttivo specializzato in settori a basso contenuto di innovazione tecnologica e caratterizzato da un'eccessiva frammentazione in piccole e piccolissime imprese che tendono a competere sulla riduzione del costo del lavoro piuttosto che sull'innovazione e sull'investimento in capitale umano.


L'affermarsi di questo modello si sviluppo economico si è riflesso nell'andamento del mercato del lavoro, che nel nostro paese penalizza sempre di più l'occupazione di buona qualità e tende ad aumentare la disuguaglianza nelle opportunità di reddito e di occupazione. Tra lavoratori garantiti e lavoratori con contratti a termine. Tra uomini e donne. Tra lavoratori giovani e lavoratori che hanno già accumulato una lunga esperienza lavorativa.


Sulla base di queste considerazioni siamo persuasi che lo strumento principale di cambiamento dovrebbe essere la ripresa di una seria politica industriale su tutto il territorio nazionale. L'obiettivo primario della politica industriale coordinata a livello pubblico dovrebbe essere quello di sostenere gli investimenti in nuove tecnologie da parte delle imprese e, più in generale, favorire la riorganizzazione del sistema produttivo verso settori con maggiori prospettive di crescita produttiva e occupazionale di buona qualità.


Il successo di una simile strategia di politica industriale avrebbe effetti positivi sul mercato del lavoro: stimola la domanda di lavoro per i lavoratori qualificati, riduce gli incentivi delle imprese a ricorrere a contratti a tempo determinato mentre le spinge ad investire nella formazione dei propri dipendenti. In altre parole favorisce la riduzione delle disuguaglianze e la creazione di occupazione di buona qualità.


La politica di riforme per il mercato del lavoro dovrebbe in parte coordinarsi con le strategie di politica industriale e, per l'altra, mirare ad correggere quelle ingiustizie e inefficienze che si sono accumulate negli anni come esito di una politica del lavoro orientata quasi esclusivamente a ridurre le garanzie a protezione dell'impiego e ad aumentare la flessibilità contrattuale per i nuovi assunti.


Definita la nostra visione generale e gli obiettivi della politica economica, è possibile entrare nel merito di quelle specifiche misure che sono necessarie per attuarla. In questa prospettiva si distinguono due tipologie di intervento: politiche a sostegno dello sviluppo economico e politiche per il mercato del lavoro.


Politiche a sostegno dello sviluppo economico

La politica industriale dovrebbe essere guidata da un disegno su base nazionale e seguire criteri di selettività. In particolare si possono individuare 3 aree di intervento:


1) Piano di politica industriale coordinato a livello nazionale e realizzato attraverso misure selettive di sostegno alle imprese e ai settori che producono nuove tecnologie ed elevato valore aggiunto in termini di qualità dell'occupazione e crescita della produttività (i beni innovativi nel campo della ricerca medica, delle energie rinnovabili, dei trasporti, ecc). La politica industriale non dovrebbe limitarsi ad incentivare l'offerta di nuove tecnologie, ma ha il compito di stimolare la domanda di nuove tecnologie. In questa prospettiva si individuano tre linee di intervento.

Primo, incentivare in modo sistematico i consorzi tra università e associazioni datoriali a livello regionale, al fine di creare dei “poli tecnologici” in grado di domandare i prodotti delle imprese locali e creare cosi delle economie di scala e di agglomerazione per lo sviluppo delle nuove tecnologie. La visione alla base di questo tipo di intervento è quella che interpreta il cambiamento tecnologico in termini evolutivi, non nei termini neo-classici del fallimento di mercato nel processo di produzione di conoscenza scientifica. Un esempio è l’IMT di Lucca. Ne stiamo progettando uno a Terni sulla biomedicina.

Secondo, aumentare significativamente e rese stabili nel tempo il credito di imposta per gli investimenti specifici in R&D; ridurre fino all’eliminazione gli stanziamenti indiretti e le agevolazioni a fondo perduto.

Terzo, attuare un intervento legislativo a favore dell'imprenditoria giovanile. E' necessario definire un quadro normativo nazionale e dei flussi stabili di finanziamento entro cui le amministrazioni regionali possono intervenire, per evitare interventi locali che siano frammentati, instabili e al di fuori di un piano strategico di politica industriale1. In particolare questo intervento legislativo potrebbe strutturarsi come segue. Un piano di finanziamento diretto e l’offerta di agevolazioni fiscali per incentivare l'imprenditoria giovanile nei settori della nuova economia (biotecnologie per la salute, nanotecnologie per le applicazioni industriali, produzioni di beni e servizi per il risparmio energetico e la qualità dell'ambiente, ecc). L’estensione dei voucher formativi per l’imprenditorialità co-finanziati dai centri di ricerca pubblici e privati nonché dalle istituzioni universitarie. Una struttura di assistenza tecnica e finanziaria a livello regionale che agevoli la fase di start-up e riduca il tasso di mortalità delle nuove imprese. Vedasi il punto seguente.


2) Politica pubblica per l'accesso al credito delle imprese con progetti di investimento innovativi e che finanziano stabilmente le attività di ricerca e sviluppo al proprio interno. Lo strumento potrebbe essere un Fondo di garanzia pubblica dei finanziamenti bancari per l'innovazione tecnologica, gestito da una sorta di “Authority per il sostegno finanziario all'Innovazione” (una specie di venture capitalist con garanzie pubbliche). In questa prospettiva si potrebbe prevedere l'introduzione di una legge che regoli il quadro normativo nazionale e, singoli istituti a livello delle amministrazioni regionali. L'organismo dirigente e amministrativo di questi istituto dovrebbe essere di natura tecnica e svincolato da nomine politiche. Il modello è quello della Banca d'Italia, ma con una struttura più snella e statutariamente predisposta al sostegno delle attività produttive.


3) Politica di sostegno alla crescita dimensionale delle imprese, La dimensione medio-piccola delle imprese è un fattore determinante della bassa crescita della produttività in molte regioni italiane. Finora la politica economica non si è occupata di questo problema con strumenti adeguati. Nella nostra visione si può agire attraverso la riduzione del costo del lavoro (ovvero il cuneo fiscale), in modo proporzionale al numero dei nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato e alle decisioni di investimento in beni tecnologicamente avanzati.



Politiche per il mercato del lavoro


Le proposte di politica per il mercato del lavoro dovrebbero essere orientate in due direzioni principali. In primo luogo, rendere effettive le misure di tutela del reddito pertutti i lavoratori a rischio di disoccupazione. In secondo luogo mettere a disposizione dei lavoratori degli strumenti formativi e delle tutele contrattuali in grado di limitare i problemi di cattiva qualità dell'occupazione, di sottoutilizzo delle competenze e di disuguaglianza della opportunità.

In particolare si tratta di:


1 ) sviluppare un modello di regolazione del mercato del lavoro in grado di integrare le politiche attive di orientamento e formazione e le politiche passive di sostegno all'occupazione in un quadro unitario e coerente di politica del lavoro nazionale e regionale. In questa prospettiva è necessario ampliare le prerogative dei Centri Pubblici per Impiego (CPI), i quali dovrebbero svolgere un ruolo di coordinamento e di intermediazione tra i lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali meno tradizionali (cassa integrazione in deroga, mobilità indennizzata, sussidio di disoccupazione, ecc) e le imprese che domandano lavoro e nuove professionalità. In questo ambito è necessaria l'introduzione di una legge nazionale che fornisca un quadro normativo unitario e principi di sussidiarietà tra le varie regioni.


2) estendere gli ammortizzatori sociali e le misure di sostegno al reddito a coloro che ne sono privi. Questo sussidio di disoccupazione è di ammontare decrescente nel tempo e condizionato alla ricerca attiva di un lavoro da parte di chi ne usufruisce. Non andrebbe a sostituire gli ammortizzatori sociali tradizionali (cassa integrazione ordinaria e straordinaria). Il finanziamento del sussidio di disoccupazione sarebbe in larga parte dalla risorse precedentemente destinate agli ammortizzatori sociali che va a sostituire e per la parte rimanente attraverso un (minimo) aumento dei contributi sociali dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Per verificarne la sostenibilità finanziaria inoltre potrebbe essere introdotto gradualmente a livello regionale, e poi esteso a tutto il territorio nazionale1.


3) Il ri-orientamento delle politiche di formazione. L'obiettivo della formazione è quello di migliorare la qualità dell'occupazione e della produttività del lavoro, non solo aumentare la probabilità di trovare una qualsiasi occupazione. In questa prospettiva è opportuno aumentare sensibilmente le risorse pubbliche destinate al finanziamento deivoucher formativi individuali, secondo il principio che il formato si sceglie il proprio formatore. Le politiche di sviluppo del capitale umano attraverso il voucher e/o strumenti di formazione individuale potrebbero estendersi agli studenti in obbligo formativo. In particolare vi è l’opportunità di aumentare e razionalizzare le risorse pubbliche dirette al co-finanziamento di un periodo di studio all'estero per gli studenti che frequentano la scuola media superiore.


4) La politica economica per la stabilità dell'occupazione. E' necessario ridurre gli incentivi ad assumere con contratti a termine da parte delle imprese perché spesso si risolvono in un percorso di segregazione occupazionale. Al tempo stesso occorre garantire alle aziende una certa flessibilità nelle assunzioni, per meglio valutare la qualità del lavoratore. Abbiamo diversi strumenti a questo scopo. In primo luogo è possibile far ricorso ad agevolazioni fiscali per ridurre il costo del lavoro delle imprese che assumono con contratto a tempo indeterminato. In secondo luogo, si può intervenire con misure che favoriscono l'accesso al credito delle piccole e medie imprese che occupano i lavoratori in forma stabile. Infine è opportuno operare una semplificazione delle varie tipologie dei contratti a termine ed introdurre dei vincoli normativi al numero massimo di rinnovi contrattuali a tempo determinato.

Probabilmente la quadratura del cerchio è nell’introduzione di un contratto unico a tempo indeterminato con garanzie crescenti nel tempo. In questo contratto si possono prevedere tre fasi: prova, inserimento e stabilità. Chi è assunto è soggetto ad un periodo di prova di 6 mesi. Ciò consente al datore di lavoro di valutare le attitudini e le qualità del lavoratore. Successivamente, dal sesto mese al terzo anno dopo l’assunzione, si entra nelperiodo di inserimento durante il quale il lavoratore è tutelato contro il licenziamento disciplinare e riceve un’indennità nel caso di licenziamento economico. In questo periodo il datore di lavoro e il lavoratore possono investire in capitale umano specifico dell’azienda. Al termine del terzo anno, si entra nel periodo di stabilità, in cui si rafforza ulteriormente la protezione contro i licenziamenti.

1A questo proposito va segnalato che il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere uno dei pilastri della sicurezza sociale nel mercato del lavoro. Non l'unico. Per il futuro si intravede l'esigenza di un reddito minimo di cittadinanza. Infatti il sussidio di disoccupazione, se erogata prevalentemente a fronte di versamento di contributi di tipo assicurativo, rischia di perpetuare la struttura duale del mercato del lavoro. Se combinata con l'accesso a un reddito minimo di cittadinanza condizionato alla verifica dell'esistenza di determinati requisiti, e finanziato dalla fiscalità generale, contribuirebbe ad una maggiore efficienza allocativa del lavoro, creando i presupposti per una maggiore equità distributiva di medio lungo periodo.

2 Un serio intervento nazionale sulla imprenditoria giovanile risponde a due obiettivi principali: limitare il problema dell'occupazione sotto-qualificata e migliorare qualità media della classe imprenditoriale in termini di età, livello di istruzione e pratiche competitive

domenica 26 settembre 2010

IL POLO UNIVERSITARIO DI TERNI: PROPOSTE CONCRETE PER IL FUTURO


La questione del futuro del Polo Universitario Ternano costituisce una delle maggiori problematiche che coinvolge la collettività cittadina e locale nel immediato periodo.


I drammatici effetti della riforma del sistema universitario e della legge finanziaria per l’anno 2010 hanno spinto gli atenei italiani ad una “corsa al taglio” delle facoltà non virtuose, giustificata dai cospicui tagli previsti per gli anni a venire.


In questo contesto l’Università di Perugia sta seriamente riconsiderando di continuare a mantenere in vita le facoltà presenti a Terni, Narni, Collescipoli e Maratta, nonostante le stesse possano considerarsi come virtuose sulla base dei requisiti previsti per l’attribuzione dei fondi di finanziamento delle università.

In particolare i corsi di laurea della nostra realtà locale presentano un forte trend di crescita per quel che riguarda il numero degli iscritti ed il numero di laureati (differentemente da quanto sta accadendo nella maggior parte delle facoltà del Polo Universitario di Perugia).


L’Italia dei Valori di Terni ritiene che questo grave problema non possa e non debba essere affrontato in maniera debole e rinunciataria.


Bisogna innanzi tutto che vi sia un coinvolgimento completo dei soggetti interessati: istituzioni locali ed universitarie, professori, cittadini e studenti.


Occorre poi che gli attori locali interessati chiedano in maniera forte ed unitaria che l’Ateneo di Perugia renda trasparenti le voci di bilancio, i capitoli di spesa e di entrata, sulla base della distinzione tra ciascun polo. Questo al fine di verificare in maniera effettiva e scientifica dove effettivamente ci siano situazioni virtuose o di carenza.


Inoltre risulta fondamentale sensibilizzare l’attenzione di tutti su come questa grave situazione non sia da considerarsi come una “guerra tra poli universitari e tra due realtà locali” quanto sia il frutto di una sciagurata politica economica posta in essere dall’attuale governo.


Solo per il 2010 saranno previsti tagli per 652 e 700 milioni di euro per l’Università, e 158 e 800 miloni di euro per il Programma di Ricerca scientifica e Tecnologia applicata.

Per il biennio successivo invece è previsto un taglio per l’Università e la ricerca di ben 3 miliardi e mezzo e 500 milioni.1


Pertanto si auspica che le istituzioni regionali, gli enti locali coinvolti, e le istituzioni universitarie di ambedue i poli possano sedersi ad un tavolo comune per dialogare in maniera concreta e trasparente, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità e operando scientificamente al fine di superare questa spinosa situazione che rischia di minare ancora più fortemente il non roseo futuro della realtà cittadina ternana.


Matteo Lamperini

1 Fonte: Bilancio triennale MIUR per gli anni 2010-2012.

Che fine fanno i laureati in Umbria?


Questo articolo è vietato ai minori di 18 anni. Proprio così. I minori non possono iniziare la lettura perché l’argomento trattato e i contenuti della narrazione non sono adatti ad un pubblico di minorenni. I ragazzi più sensibili e quanti tra loro pensano che andare all’università sia un buon modo per migliorare la prospettiva di vita propria e di chi gli sta intorno potrebbero rimanere traumatizzati. E fare scelte di cui l’autore non vuole assumere alcuna responsabilità.

I loro genitori e i nonni invece possono proseguire la lettura. Sono adulti e vaccinati. Anche in questo caso, comunque, se ne sconsiglia l’esercizio a quanti pensano che siamo ancora un paese moderno. E l’Umbria sia una regione senza gravi problemi. E che possiamo continuare così. Nel caso, infatti, potrebbero avere brutte sorprese.
Soddisfatti gli obblighi di legge, possiamo iniziare.

Qualche mese fa un istituto di ricerca ci ha commissionato uno studio che aveva come oggetto l’evoluzione delle prospettive lavorative dei giovani negli ultimi 15-20 anni. In particolare ci interessava sapere quanto fosse conveniente investire in istruzione da un punto di vista economico. In effetti, i nostri genitori ci hanno sempre raccomandato che studiare sarebbe stato il modo migliore per trovare una buona occupazione e ottenere un reddito da lavoro sicuro. Allora ci siamo posti una domanda.
Possiamo raccomandare altrettanto ai nostri figli?

A questo scopo sono state raccolti informazioni sui salari che sono percepiti dai laureati in Italia e sul tipo di lavoro che essi svolgono. Il periodo di tempo a cui abbiamo fatto riferimento per la nostra analisi va da inizio anni ‘90 fino alla seconda metà del decennio in corso. I dati utilizzati sono quelli della Banca d’ Italia e dell’ Istat, quindi fonti statistiche ufficiali. Insomma non ci siamo inventati niente.
Detto questo, abbiamo classificato le occupazioni dei laureati in tre categorie: posti di lavoro di “buona qualità”, posti di lavoro di “media qualità” e posti di lavoro di “cattiva qualità”. In particolare, i posti di lavoro “buoni” sono quelli esercitati dai legislatori, dai professionisti, dai managers e dirigenti, professori ecc. I posti di lavoro di “media” qualità sono associati a professioni impiegatizie, operai specializzati, assistenti tecnici e assimilati. I posti di lavoro “cattivi” sono quelli che richiedono mansioni dequalificate, operai non specializzati, manovali, ecc.
In questa sede tralasciamo di raccontare quello che è emerso per l’Italia nel suo insieme. Già di per sé sconfortante. E concentriamoci sulle evidenze che sono venute fuori nel nostro territorio. In Umbria. A questo proposito due risultati ci sembrano degni di nota. E di denuncia.

Primo. Tra il 1993 e il 2006 nella nostra regione il salario guadagnato da chi è in possesso di un titolo di laurea è diminuito di circa il 20% rispetto al salario percepito dai lavoratori senza alcuna istruzione o con al massimo una licenza elementare. Proprio così. Mentre in tutto il mondo industriale si osserva un aumento sostanziale dei salari di coloro che hanno un livello di studio elevato, nel nostro paese e nella nostra regione avviene il contrario! Come è possibile?
Il motivo lo troviamo nell’altro risultato della nostra analisi.
Quello che segue.

Ebbene. Nello stesso periodo di tempo la proporzione di laureati che sono occupati in posti di lavoro di “buona qualità” è diminuita di ben 23 punti percentuali! Dove sono finiti i laureati che non hanno più trovato lavoro in quei posti che garantiscono salari più elevati e migliori prospettive di carriera? Beh, come è facile intuire, sono finiti nei posti di lavoro di peggiori. Nello specifico, è aumentata di oltre 14 punti percentuali la quota di laureati nei posti di qualità media e di 8 punti percentuali la quota di laureati che si sono ritrovati nelle occupazioni più dequalificate!!

In particolare nel 1993 i laureati erano occupati per una quota pari al 72% nei posti di lavoro migliori, per il 27% nei posti di lavoro di media qualità e per l’1% circa nei posti di lavoro più dequalificanti. Nel 2006 la quota dei laureati che si sono ritrovati in posti di lavoro di buona qualità era solo del 49%, mentre la percentuale di laureati occupati nei posti di lavoro di media qualità era arrivata ad un livello del 41% e quella nei posti di cattiva qualità aveva raggiunto il 9% circa. Questi numeri non hanno pari o quasi nel il resto del territorio nazionale (Nord, Centro, Sud e Isole). E già l’ Italia costituisce un eccezione negativa rispetto agli altri paesi industriali.
C’è una morale della storia? Si, secondo noi. Anzi ce ne sono due. Una per il ricercatore, l’altra per il politico.

Per quanto riguarda il ricercatore, i nostri risultati confermano che per risolvere i problemi strutturali che affliggono il mercato del lavoro regionale (e nazionale) si deve guardare soprattutto alle imprese, e non ai lavoratori. Il sistema delle imprese infatti è troppo frammentato e specializzato in settori tradizionali, a basso contenuto tecnologico. Gli imprenditori tendono a competere sulla riduzione del costo del lavoro. E non sull’innovazione, sulla produttività e nel capitale umano dei propri dipendenti. In queste condizioni le qualifiche dei lavoratori più istruiti vengono sempre più spesso penalizzate all’interno delle aziende. Tipicamente attribuendo loro mansioni e compiti lavorativi dequalificanti nel breve periodo e svilendo le prospettive di crescita professionale nel lungo periodo.

Certo. Esiste anche un problema serio per ciò che concerne la composizione dei nostri giovani laureati per aree disciplinari. Senza dubbio in questo paese il numero dei laureati in materie tecniche e scientifiche è troppo esiguo rispetto a coloro che conseguono un titolo di laurea in discipline umanistiche o professionali. In più non possiamo ignorare le difficoltà del sistema universitario. Ma focalizzarci su questi aspetti e ignorare le caratteristiche strutturali della nostra imprenditoria è come invertire il predicato con il soggetto.
Anche gli ingegneri fanno sempre più spesso gli impiegati. Se gli va bene.

Per quanto riguarda il politico, le cose sono ben più complicate. Non basta una diagnosi corretta dei problemi. La politica inizia dove finisce il ricerca. In particolare la politica economica richiede innanzitutto una visione generale della società, un ordine di priorità negli obiettivi e strumenti efficaci per modificare le cose nella direzione desiderata.
In questi mesi il Dipartimento regionale dello Sviluppo economico IDV ha prodotto uno sforzo in tal senso, grazie all’aiuto di tanti amici che vi hanno collaborato. Quello che ne è venuto fuori è un tentativo di “costruzione”, un insieme di proposte concrete di politica economica regionale con l’unico intento di migliorare le cose nel nostro territorio. A partire dalla grave situazione che abbiamo appena descritto.

Nella nostra visione l’Umbria non può scegliere un percorso diverso da quello dello sviluppo economico e di una più equa redistribuzione delle opportunità. Il sistema delle imprese incontra difficoltà sempre maggiori nel produrre ricchezza sotto forma di innovazione, buona occupazione e reddito da lavoro. La disuguaglianza sta crescendo in modo preoccupante tra le persone, le generazioni e le istituzioni del nostro territorio. Il freno dello sviluppo e la disuguaglianza sono fenomeni che si alimentano l’uno con l’altro. Se la torta da spartire diventa sempre più piccola, mangia solo chi si è seduto prima a tavola. Gli altri stanno a guardare.

Ma per quanto tempo ancora? Non si può più aspettare. E’ necessario far crescere la torta e allargare il tavolino.

Come? Lo abbiamo detto già in altre occasioni. Secondo noi è necessario attivare nuova politica industriale coordinata a livello regionale che aiuti le imprese più piccole a fare rete, che incentivi gli investimenti nelle nuove tecnologie e che favorisca gli imprenditori che operano nei settori che offrono maggiori possibilità di sviluppo e di buona occupazione (economia verde, biomedicina, ecc) . Gli strumenti normativi ci sono, le idee pure (consorzi interuniversitari per la costituzione di centri di ricerca avanzati, incentivi regionali alle Fondazioni bancarie per finanziare investimenti produttivi nel territorio, la costituzione di un authority per il credito alle imprese innovative per migliorare l’efficienza del sistema dei fidi, ecc, ecc). Non servono grandi risorse finanziarie, serve la volontà politica di affrontare questi nodi.

In questa sede non intendiamo entriamo nei dettagli. Lo faremo in un prossimo futuro. Ciò che ci sembrava importante è condividere lo spirito che ci ha mosso con gli iscritti all’ IDV e con quanti sono interessati a migliorare le cose.

Un saluto a tutti, Andrea Ricci

La Nostra Coscienza



Come nella favola di Pinocchio dove il grillo parlante rappresentava la coscienza, anche noi Italiani abbiamo scoperto di avere il nostro grillo personale, che vuole affermarsi come la nostra coscienza.

Ovviamente il riferimento è chiaro, Beppe Grillo: comico, blogger, politico di nuova generazione, ma in ultimo anche coscienza degli Italiani e dell'Italia. Questa è una mia personalissima opinione, ma ultimamente, soprattutto dopo l'intervista rilasciata ad Annozero, mi pare che lui stesso voglia assumere tale ruolo. Perciò ormai da qualche giorno mi domando; abbiamo bisogno di Grillo per capire in che razza di situazione siamo messi? Veramente non riusciamo da soli a renderci conto che ci stanno rubando il futuro? Beh credo proprio di no!

Voglio comunque fare delle premesse. Quando sento parlare il blogger più famoso del momento condivido al 90% ciò che dice.

Primo su tutti il fatto che la nostra classe di politici è vecchia, all'anagrafe ma soprattutto nei modi di fare e di concepire la politica. Sono convinto che i giovani viaggino a velocità nettamente maggiori rispetto a “queste quattro cariatidi” che ci governano. La quantità di idee e di lavoro che riusciamo a formulare e a portare avanti non è paragonabile. Ma sostanzialmente non sono paragonabili nemmeno le modalità; concedetemi il termine, noi non ci facciamo troppe paranoie mentali: per chi ha a cuore il bene comune, l'obiettivo non è chi mette il cappello su una determinata iniziativa, ma che la proposta vada in porto. Questo è quello che vedo e quello che mi comunicano la maggior parte delle persone, dei ragazzi, che conosco e con cui mi confronto.

Secondo: i temi sollevati dal suo movimento sono effettivamente i più innovativi, le proposte sono tra le più giuste e ragionevoli, ma ciò non esclude che anche altri non ci abbiano pensato.

Terzo: i collusi, i condannati e tutti quelli che hanno guardato solo ed esclusivamente ai loro interessi devono andare fuori dal Parlamento, fuori dalla scena politica e se possibile anche fuori dall'Italia. Se tale messaggio non fosse recepito, dobbiamo mandarceli a calci.

PERO'... alcune cose non le condivido. Non credo che sia possibile che in una nazione di 60 milioni di abitanti ci sia solo un gruppo di alcune decine, centinaia? di persone che detiene la verità, la ragione assoluta. Questa è più di un'opinione, è una convinzione.

Un'alternativa c'è, ed è formata da persone di provenienza ed estrazione sociale eterogenea. Un popolo di cittadini che ha idee, proposte e voglia di fare, voglia di cambiare questo paese.

Questa folla è ovunque e non sta solo nel movimento a 5 stelle, ma sta nei partiti, nelle associazioni, nella società civile, è ovunque e sta emergendo.

La mia critica, che è anche nello stesso momento una proposta, è che divisi non contiamo niente e ci sarà sempre un berlusconi (scritto volutamente con la lettera minuscola) che tenterà di fregarci. L'appello a Grillo e a tutti quelli che hanno l'intenzione di cambiare è quello di bypassare le ottiche di partito e di movimento; uniamoci e portiamo avanti le battaglie e le proposte che condividiamo, poi i nostri partiti e i nostri movimenti ci seguiranno. Basta trovare un mezzo, a seconda della situazione, che soddisfi tutti, ma solo dal punto di vista del rispetto per gli altri, della democrazia e della trasparenza.

Con questi mezzi il consenso verrà da solo e piano piano si avvicineranno anche i più scettici. Sarà quindi fondamentale il passaparola, la pubblicità e la buona fede che metteremo nelle nostre azioni, per cambiare il modo di pensare e di agire di un paese di vecchi e di alcuni giovani nati vecchi. Sono fermamente convinto che questa è l'unica soluzione, collaborare e confrontarsi e smettere di andare avanti per compartimenti stagni. Gli ultimi 30 anni ci hanno insegnato che chi vince favorisce i suoi amici e annichilisce i nemici, che covano odio e alla prima occasione la fanno pagare. Ecco il risultato: un paese in declino e un popolo allo sbando.

Sveglia ragazzi!

Il motore dell'Italia siamo noi, se noi molliamo e non ci coalizziamo il paese non ha più speranze.


Firmato

Il parere di uno che conta meno di zero

sabato 25 settembre 2010

IL REDDITO MINIMO UNIVERSALE


L'introduzione di un reddito minimo universale trova ancora ostacoli, eppure sembra permettere
scelte familiari, educative, abitative e occupazionali più efficienti. Le disuguaglianze nella distribuzione del benessere possono rafforzare gli incentivi al lavoro, ma spingono anche alla ricerca di benefici e privilegi clientelari con spreco di risorse. Un esercizio di simulazione mostra gli effetti diquattro tipi di politiche universalistiche: reddito minimo garantito e reddito di cittadinanza, conimposta sul reddito progressiva e con imposta proporzionale. Una scheda dell'autore illustra ledifferenze tra le quattro forme di reddito.
Il sistema italiano di sostegno del reddito (gli “ammortizzatori sociali”) è frammentario, discrezionale, inefficiente e iniquo. Molte analisi hanno documentato il giudizio e spesso proposto politiche più trasparenti e universali. Universalità significa che il meccanismo si applica a tutti i cittadini, indipendentemente dalla condizione professionale, compresi coloro che non hanno alcuna esperienza lavorativa.

PERCHÉ INTRODURLO
Nelle economie avanzate si è largamente affermata la convinzione cha una dotazione minima
universale di istruzione e di salute sia desiderabile, non tanto per motivi solidaristici, ma piuttosto perché crea forti benefici di sistema nella vita economica e sociale. Maggiori ostacoli incontra invece l’idea di una dotazione minima universale di reddito, anche se le motivazioni che la sostengono sono del tutto analoghe a quelle che giustificano l’istruzione o l’assistenza sanitaria di base universale. Intanto però cresce la documentazione sia teorica che empirica a favore di un
meccanismo universale di supporto e redistribuzione del reddito. Ad esempio, la garanzia di un
reddito minimo sembra permettere scelte familiari, educative, abitative e occupazionali più efficienti.
Le disuguaglianze nella distribuzione del benessere possono rafforzare gli incentivi al lavoro, ma
spingono anche alla ricerca di benefici e privilegi clientelari con spreco di risorse: la limitazione delle disuguaglianze riduce gli sprechi. I costi sono elevati, ma vanno confrontati con benefici
probabilmente analoghi a quelli di altre riforme universalistiche. La portata di una riforma in
direzione del reddito minimo universale potrebbe essere analoga a quella avutasi con la nascita e lo sviluppo dei sistemi pensionistici pubblici nel secolo scorso, che in Europa hanno ridotto
l’avversione al rischio delle famiglie e favorito, specie in agricoltura, l’innovazione tecnologica e
organizzativa. Per fare un esempio dei nostri giorni, dobbiamo pensare a una scelta analoga a
quella fatta in queste settimane per il sistema sanitario negli Stati Uniti. È importante osservare che si tratta anche di benefici sociali che vanno al di là di quelli individuali immediatamente percepiti.

UN ESERCIZIO CON QUATTRO IPOTESI
Le preoccupazioni maggiori circa le politiche universalistiche, invece, riguardano i possibili effetti
negativi sugli incentivi al lavoro e i costi di finanziamento che implicherebbero un appesantimento del carico fiscale con ricadute ulteriormente negative sugli incentivi al lavoro.
La scheda allegata illustra un esercizio di simulazione di quattro tipi di politiche universalistiche di sostegno del reddito. Distinguiamo meccanismi per i quali l'ammontare del trasferimento è
condizionato dal livello di reddito dell'individuo (reddito minimo garantito) e meccanismi non
condizionati (reddito di cittadinanza). Per il reddito di cittadinanza distinguiamo anche tra sistemi
nei quali l'imposta sul reddito è progressiva, come nel sistema corrente, da sistemi con imposta
proporzionale (Flat Tax). Tutte le riforme sono calibrate in modo da garantire lo stesso gettito
fiscale netto, uguale a quello corrente, e la simulazione tiene conto delle risposte comportamentali
delle famiglie: lavorare o no, quanto lavorare e così via. Il trasferimento alle famiglie varia in
funzione del numero di componenti ed è mediamente intorno ai 300-500 euro mensili a seconda del meccanismo (nel sistema corrente è intorno ai 100 euro mensili). Il significato concreto di queste cifre è molto diverso a seconda dei meccanismi. Ad esempio, per il sistema corrente si tratta di una media di vari provvedimenti contingenti o limitati a certe fasce di popolazione (pensioni sociali, sussidio di disoccupazione e altro). Anche per i sistemi condizionati si tratta di una media di quanto la famiglia riceve a seconda del livello di reddito o della condizione lavorativa. Nel caso del reddito di cittadinanza si tratta invece di un trasferimento certo e incondizionato. Il costo aggiuntivo delle riforme viene finanziato incrementando proporzionalmente le aliquote marginali dell'imposta sul reddito e includendo nella base imponibile tutti i redditi indipendentemente dalla fonte. Le percentuali di famiglie “vincitrici” sono per lo più maggioritarie, ma diverse tra le riforme e soprattutto diversamente distribuite tra le sottopopolazioni.
Dal punto di vista della percentuale di vincitori, le riforme non condizionate risultano migliori di
quelle condizionate e i sistemi con imposta progressiva risultano migliori di quelli proporzionali.
Nell'ambito dei sistemi progressivi, l'incremento necessario nelle aliquote marginali al di sopra della soglia di esenzione è tutto sommato modesto, 1 o 2 punti percentuali. Questo risultato dipende però anche da un ampliamento estremo della base imponibile. Ipotesi meno drastiche implicherebbero incrementi più pesanti delle aliquote marginali.
In alternativa si può pensare a una diversa struttura dell'imposta sul reddito, cioè una tassazione
proporzionale (Flat Tax): quest'ultima è attraente per la semplicità amministrativa e forse per
minori incentivi all'evasione. Il problema della Flat Tax è che implica aliquote elevate anche sui
redditi bassi e medi, dove si concentrano le famiglie che rispondono in modo più forte agli incentivi: ne possono risentire sia l'efficienza che gli effetti distributivi. Tuttavia, un meccanismo RC + Flat Tax mantiene la sua attrattiva: l'aliquota richiesta è 31,6 per cento, un livello di tassazione proporzionale forse politicamente meglio sostenibile insieme all'allargamento della base imponibile. Infine, gli effetti di disincentivo al lavoro – una delle fonti di maggiore preoccupazione – risultano molto modesti (e non sono riportati nella scheda).
In conclusione, si può dire che è possibile disegnare versioni realistiche del reddito minimo
universale soppesando, in base alle preferenze sociali, le diverse implicazioni su benefici, costi e
incentivi. Rimangono molti aspetti che richiederebbero altri approfondimenti. Costi amministrativi: i meccanismi non condizionati richiedono solo il registro anagrafico della popolazione, mentre quelli condizionati richiedono un supporto informativo e operativo per la verifica delle condizioni di accesso ai trasferimenti e per la gestione di sanzioni e contestazioni. Benefici: l'analisi riassunta nella scheda riguarda benefici strettamente individuali, un'analisi completa dovrebbe includere i benefici di lungo periodo e di sistema ai quali ho accennato all'inizio.


Ugo Colombino 11.06.2010 fonte: LaVoce

lunedì 20 settembre 2010

Inizio lavori

Ciao a tutti.
Poche righe per spiegarvi in cosa consiste questo blog. Il dipartimento giovani IDV della provincia di Terni vuole intraprendere un nuovo cammino, con tutti quelli che condividono le nostri idee, ma soprattutto i nostri valori. Il nostro traguardo sarà quello di creare uno spazio di informazione e scambio di idee inerenti la nostra provincia, ma con un occhio di riguardo anche nei confronti delle vicende e delle tematiche che non vedono proprio in primo piano il nostro territorio.
Questa pagina perciò servirà a seguire il lavoro portato avanti dal nostro dipartimento giorno per giorno: verranno segnalate le nostre iniziative e i nostri incontri. Contemporaneamente cercheremo di essere anche una finestra su quelle che sono le tematiche più calde, politiche e non, che ci riguardano più da vicino come    cittadini. Sarà perciò importante anche il contributo di chi ha qualcosa da dire come semplice individuo informato dei fatti, qualsiasi essi siano.