Negli ultimi 15 anni la capacità di produrre e ridistribuire ricchezza da parte dell'economia italiana è costantemente diminuita e il nostro sistema delle imprese ha perso capacità competitiva sia nei confronti di altri paesi industrializzati che di quelli emergenti. Nella nostra visione, la ragione ultima della lenta crescita dell'economia italiana è da attribuirsi ad un sistema produttivo specializzato in settori a basso contenuto di innovazione tecnologica e caratterizzato da un'eccessiva frammentazione in piccole e piccolissime imprese che tendono a competere sulla riduzione del costo del lavoro piuttosto che sull'innovazione e sull'investimento in capitale umano.
L'affermarsi di questo modello si sviluppo economico si è riflesso nell'andamento del mercato del lavoro, che nel nostro paese penalizza sempre di più l'occupazione di buona qualità e tende ad aumentare la disuguaglianza nelle opportunità di reddito e di occupazione. Tra lavoratori garantiti e lavoratori con contratti a termine. Tra uomini e donne. Tra lavoratori giovani e lavoratori che hanno già accumulato una lunga esperienza lavorativa.
Sulla base di queste considerazioni siamo persuasi che lo strumento principale di cambiamento dovrebbe essere la ripresa di una seria politica industriale su tutto il territorio nazionale. L'obiettivo primario della politica industriale coordinata a livello pubblico dovrebbe essere quello di sostenere gli investimenti in nuove tecnologie da parte delle imprese e, più in generale, favorire la riorganizzazione del sistema produttivo verso settori con maggiori prospettive di crescita produttiva e occupazionale di buona qualità.
Il successo di una simile strategia di politica industriale avrebbe effetti positivi sul mercato del lavoro: stimola la domanda di lavoro per i lavoratori qualificati, riduce gli incentivi delle imprese a ricorrere a contratti a tempo determinato mentre le spinge ad investire nella formazione dei propri dipendenti. In altre parole favorisce la riduzione delle disuguaglianze e la creazione di occupazione di buona qualità.
La politica di riforme per il mercato del lavoro dovrebbe in parte coordinarsi con le strategie di politica industriale e, per l'altra, mirare ad correggere quelle ingiustizie e inefficienze che si sono accumulate negli anni come esito di una politica del lavoro orientata quasi esclusivamente a ridurre le garanzie a protezione dell'impiego e ad aumentare la flessibilità contrattuale per i nuovi assunti.
Definita la nostra visione generale e gli obiettivi della politica economica, è possibile entrare nel merito di quelle specifiche misure che sono necessarie per attuarla. In questa prospettiva si distinguono due tipologie di intervento: politiche a sostegno dello sviluppo economico e politiche per il mercato del lavoro.
Politiche a sostegno dello sviluppo economico
La politica industriale dovrebbe essere guidata da un disegno su base nazionale e seguire criteri di selettività. In particolare si possono individuare 3 aree di intervento:
1) Piano di politica industriale coordinato a livello nazionale e realizzato attraverso misure selettive di sostegno alle imprese e ai settori che producono nuove tecnologie ed elevato valore aggiunto in termini di qualità dell'occupazione e crescita della produttività (i beni innovativi nel campo della ricerca medica, delle energie rinnovabili, dei trasporti, ecc). La politica industriale non dovrebbe limitarsi ad incentivare l'offerta di nuove tecnologie, ma ha il compito di stimolare la domanda di nuove tecnologie. In questa prospettiva si individuano tre linee di intervento.
Primo, incentivare in modo sistematico i consorzi tra università e associazioni datoriali a livello regionale, al fine di creare dei “poli tecnologici” in grado di domandare i prodotti delle imprese locali e creare cosi delle economie di scala e di agglomerazione per lo sviluppo delle nuove tecnologie. La visione alla base di questo tipo di intervento è quella che interpreta il cambiamento tecnologico in termini evolutivi, non nei termini neo-classici del fallimento di mercato nel processo di produzione di conoscenza scientifica. Un esempio è l’IMT di Lucca. Ne stiamo progettando uno a Terni sulla biomedicina.
Secondo, aumentare significativamente e rese stabili nel tempo il credito di imposta per gli investimenti specifici in R&D; ridurre fino all’eliminazione gli stanziamenti indiretti e le agevolazioni a fondo perduto.
Terzo, attuare un intervento legislativo a favore dell'imprenditoria giovanile. E' necessario definire un quadro normativo nazionale e dei flussi stabili di finanziamento entro cui le amministrazioni regionali possono intervenire, per evitare interventi locali che siano frammentati, instabili e al di fuori di un piano strategico di politica industriale1. In particolare questo intervento legislativo potrebbe strutturarsi come segue. Un piano di finanziamento diretto e l’offerta di agevolazioni fiscali per incentivare l'imprenditoria giovanile nei settori della nuova economia (biotecnologie per la salute, nanotecnologie per le applicazioni industriali, produzioni di beni e servizi per il risparmio energetico e la qualità dell'ambiente, ecc). L’estensione dei voucher formativi per l’imprenditorialità co-finanziati dai centri di ricerca pubblici e privati nonché dalle istituzioni universitarie. Una struttura di assistenza tecnica e finanziaria a livello regionale che agevoli la fase di start-up e riduca il tasso di mortalità delle nuove imprese. Vedasi il punto seguente.
2) Politica pubblica per l'accesso al credito delle imprese con progetti di investimento innovativi e che finanziano stabilmente le attività di ricerca e sviluppo al proprio interno. Lo strumento potrebbe essere un Fondo di garanzia pubblica dei finanziamenti bancari per l'innovazione tecnologica, gestito da una sorta di “Authority per il sostegno finanziario all'Innovazione” (una specie di venture capitalist con garanzie pubbliche). In questa prospettiva si potrebbe prevedere l'introduzione di una legge che regoli il quadro normativo nazionale e, singoli istituti a livello delle amministrazioni regionali. L'organismo dirigente e amministrativo di questi istituto dovrebbe essere di natura tecnica e svincolato da nomine politiche. Il modello è quello della Banca d'Italia, ma con una struttura più snella e statutariamente predisposta al sostegno delle attività produttive.
3) Politica di sostegno alla crescita dimensionale delle imprese, La dimensione medio-piccola delle imprese è un fattore determinante della bassa crescita della produttività in molte regioni italiane. Finora la politica economica non si è occupata di questo problema con strumenti adeguati. Nella nostra visione si può agire attraverso la riduzione del costo del lavoro (ovvero il cuneo fiscale), in modo proporzionale al numero dei nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato e alle decisioni di investimento in beni tecnologicamente avanzati.
Politiche per il mercato del lavoro
Le proposte di politica per il mercato del lavoro dovrebbero essere orientate in due direzioni principali. In primo luogo, rendere effettive le misure di tutela del reddito pertutti i lavoratori a rischio di disoccupazione. In secondo luogo mettere a disposizione dei lavoratori degli strumenti formativi e delle tutele contrattuali in grado di limitare i problemi di cattiva qualità dell'occupazione, di sottoutilizzo delle competenze e di disuguaglianza della opportunità.
In particolare si tratta di:
1 ) sviluppare un modello di regolazione del mercato del lavoro in grado di integrare le politiche attive di orientamento e formazione e le politiche passive di sostegno all'occupazione in un quadro unitario e coerente di politica del lavoro nazionale e regionale. In questa prospettiva è necessario ampliare le prerogative dei Centri Pubblici per Impiego (CPI), i quali dovrebbero svolgere un ruolo di coordinamento e di intermediazione tra i lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali meno tradizionali (cassa integrazione in deroga, mobilità indennizzata, sussidio di disoccupazione, ecc) e le imprese che domandano lavoro e nuove professionalità. In questo ambito è necessaria l'introduzione di una legge nazionale che fornisca un quadro normativo unitario e principi di sussidiarietà tra le varie regioni.
2) estendere gli ammortizzatori sociali e le misure di sostegno al reddito a coloro che ne sono privi. Questo sussidio di disoccupazione è di ammontare decrescente nel tempo e condizionato alla ricerca attiva di un lavoro da parte di chi ne usufruisce. Non andrebbe a sostituire gli ammortizzatori sociali tradizionali (cassa integrazione ordinaria e straordinaria). Il finanziamento del sussidio di disoccupazione sarebbe in larga parte dalla risorse precedentemente destinate agli ammortizzatori sociali che va a sostituire e per la parte rimanente attraverso un (minimo) aumento dei contributi sociali dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Per verificarne la sostenibilità finanziaria inoltre potrebbe essere introdotto gradualmente a livello regionale, e poi esteso a tutto il territorio nazionale1.
3) Il ri-orientamento delle politiche di formazione. L'obiettivo della formazione è quello di migliorare la qualità dell'occupazione e della produttività del lavoro, non solo aumentare la probabilità di trovare una qualsiasi occupazione. In questa prospettiva è opportuno aumentare sensibilmente le risorse pubbliche destinate al finanziamento deivoucher formativi individuali, secondo il principio che il formato si sceglie il proprio formatore. Le politiche di sviluppo del capitale umano attraverso il voucher e/o strumenti di formazione individuale potrebbero estendersi agli studenti in obbligo formativo. In particolare vi è l’opportunità di aumentare e razionalizzare le risorse pubbliche dirette al co-finanziamento di un periodo di studio all'estero per gli studenti che frequentano la scuola media superiore.
4) La politica economica per la stabilità dell'occupazione. E' necessario ridurre gli incentivi ad assumere con contratti a termine da parte delle imprese perché spesso si risolvono in un percorso di segregazione occupazionale. Al tempo stesso occorre garantire alle aziende una certa flessibilità nelle assunzioni, per meglio valutare la qualità del lavoratore. Abbiamo diversi strumenti a questo scopo. In primo luogo è possibile far ricorso ad agevolazioni fiscali per ridurre il costo del lavoro delle imprese che assumono con contratto a tempo indeterminato. In secondo luogo, si può intervenire con misure che favoriscono l'accesso al credito delle piccole e medie imprese che occupano i lavoratori in forma stabile. Infine è opportuno operare una semplificazione delle varie tipologie dei contratti a termine ed introdurre dei vincoli normativi al numero massimo di rinnovi contrattuali a tempo determinato.
Probabilmente la quadratura del cerchio è nell’introduzione di un contratto unico a tempo indeterminato con garanzie crescenti nel tempo. In questo contratto si possono prevedere tre fasi: prova, inserimento e stabilità. Chi è assunto è soggetto ad un periodo di prova di 6 mesi. Ciò consente al datore di lavoro di valutare le attitudini e le qualità del lavoratore. Successivamente, dal sesto mese al terzo anno dopo l’assunzione, si entra nelperiodo di inserimento durante il quale il lavoratore è tutelato contro il licenziamento disciplinare e riceve un’indennità nel caso di licenziamento economico. In questo periodo il datore di lavoro e il lavoratore possono investire in capitale umano specifico dell’azienda. Al termine del terzo anno, si entra nel periodo di stabilità, in cui si rafforza ulteriormente la protezione contro i licenziamenti.
1A questo proposito va segnalato che il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere uno dei pilastri della sicurezza sociale nel mercato del lavoro. Non l'unico. Per il futuro si intravede l'esigenza di un reddito minimo di cittadinanza. Infatti il sussidio di disoccupazione, se erogata prevalentemente a fronte di versamento di contributi di tipo assicurativo, rischia di perpetuare la struttura duale del mercato del lavoro. Se combinata con l'accesso a un reddito minimo di cittadinanza condizionato alla verifica dell'esistenza di determinati requisiti, e finanziato dalla fiscalità generale, contribuirebbe ad una maggiore efficienza allocativa del lavoro, creando i presupposti per una maggiore equità distributiva di medio lungo periodo.
2 Un serio intervento nazionale sulla imprenditoria giovanile risponde a due obiettivi principali: limitare il problema dell'occupazione sotto-qualificata e migliorare qualità media della classe imprenditoriale in termini di età, livello di istruzione e pratiche competitive
Nessun commento:
Posta un commento