Nella Giornata del Ricordo è importante esprimere vicinanza e solidarietà alle famiglie delle vittime, ai superstiti delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, uno dei numerosi e atroci drammi che si consumarono durante il secondo conflitto mondiale. Un dolore che, a quanto pare, ha insegnato poco: con amarezza si assiste all’uso di fatti storici come mezzo di propaganda politica e strumento di divisione nazionale. I moderni gendarmi della memoria, sguinzagliati dal governo, mistificano il passato affinché le nuove generazioni non possano coltivare la memoria storica del nostro Paese. Ultimamente si è assistito a eventi aberranti come i manifesti del 25 Aprile sui muri di Salerno in cui si celebrava la “libertà dal comunismo” o la cancellazione della festa della Liberazione dai calendari leghisti del Veneto. È necessario riaffermare la verità storica e innescare un processo di riconciliazione nazionale ed europea. Il primo passo lungo questa tortuosa via è il riconoscimento delle proprie responsabilità da parte di tutti.
Quando nell’aprile 1941 il regno di Jugoslavia fu invaso dalle potenze dell’Asse, l’Italia annesse parte della Slovenia (Lubiana), della Dalmazia, e la zona delle Bocche di Cattaro. Negli anni dell’occupazione il regio esercito diede il via a una brutale italianizzazione di queste province, con l’evidente tentativo di eliminare l’intero patrimonio culturale, linguistico, etnico delle popolazioni croate, slovene e montenegrine. L’istituzione di campi di concentramento, le esecuzioni sommarie, gli incendi di interi villaggi, le razzie e gli stupri, furono i mezzi con cui i generali italiani piegarono la tenace resistenza delle genti jugoslave.
Così dicendo non si vogliono minimizzare le violenze perpetrate nei confronti della nostra comunità da parte delle truppe di liberazione del maresciallo Tito, né si intendono mettere a confronto le dimensioni dei due atti, entrambi aberranti. Si vuole semplicemente ricordare che, nel corso di una guerra, entrambi i fronti agiscono con crudeltà e violenza. Il fatto che un crimine sia compiuto dall’una o dall’altra parte non sminuisce le responsabilità dei criminali, né altera i diritti delle vittime alla memoria e alla giustizia. Tuttavia è nostro dovere ricordare che l’infame decisione dello Stato Italiano di non ricordare per lungo tempo i suoi figli uccisi (tanto gli esuli istriani e dalmati, quanto le centinaia di connazionali morti nelle stragi nazifasciste) e di non punire i colpevoli degli eccidi, è il frutto di una precisa scelta politica: non perseguire per non essere perseguiti. Come scrisse il nostro ambasciatore a Mosca, Pietro Quaroni, nell’estate del 1946: “Non chiediamo l’estradizione in Italia dei criminali di guerra tedeschi, perché altrimenti saremo costretti a concedere l’estradizione dei nostri”. Fu il cosiddetto baratto delle colpe, consumato sull’altare della ragion di Stato, con cui si spiegano il silenzio, le rimozioni, l’armadio della vergogna. Sarebbe necessario che in futuro si istituissero celebrazioni condivise tra tutti i popoli protagonisti del conflitto, in cui si ricordino le vittime e si stigmatizzino le opposte carneficine.
Un unico punto, tuttavia, non può essere messo in discussione: senza la lotta degli alleati, la guerra di liberazione nazionale e l’indispensabile contributo etico e morale delle forze della resistenza, nel nostro Paese oggi non avremmo una Costituzione da difendere e una libertà per cui varrà sempre la pena combattere.
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