Da
alcune settimane pare che i cavatori umbri siano preda di una sorta
di fobia da accerchiamento. A loro avviso sarebbe in atto un
massiccio attacco contro il settore delle estrazioni, orchestrato dai
mezzi di comunicazione, costruito su illazioni, e portato avanti
attraverso bollature e marchi infami. A mio giudizio invece ci
troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di suscitare nei
cittadini umbri una sorta di sindrome di Stoccolma, in balia della
quale dovremmo finire tutti per fare corpo unico con i cavatori,
messi in ginocchio dalla crisi e contro cui addirittura si può
parlare di fumus persecutionis da parte delle forze dell’ordine. La
manifestazione più recente di questo malcelato tentativo è
l’intervento di Raul Ridolfi, direttore di Asso-Cave Umbria., che
sulla falsa riga di altri esponenti del settore, stigmatizza l’ottimo
lavoro svolto dal Corpo Forestale dello Stato e fornisce una serie di
dati raffazzonati su contribuiti ambientali e canoni di concessione.
Innanzitutto quello che viene definito “monopolio mediatico”
oppure “attenzione parossistica” nei confronti dell’attività
svolta in negli ultimi mesi da questa forza di polizia, non è altro
che la legittima conseguenza delle eccellenti operazioni portate a
termine dal comandante Falchi e dai suoi ragazzi. Operazioni tutte
eseguite senza alcuna sovrapposizione con altre istituzioni deputate
al controllo del territorio , poiché il principale compito di della
Forestale è l’indagine e la repressione di tutti quei reati che
riguardano l’ambiente. Occorre fare chiarezza per l’ennesima
volta anche sulle cifre legate ai canoni di concessione, partendo
però un po’ più da lontano. L’Italia continua a detenere il
primato di Paese produttore e consumatore di cemento (34.400
tonnellate all’anno) in controtendenza rispetto a tutto il resto
d’Europa. Opere faraoniche di nessuna utilità, condoni edilizi,
piccoli e grandi piani casa, scarso livello tecnologico del settore
delle costruzioni, permettono di mantenere inalterata questa infelice
leadership. La conseguenza di questo stato di cose è l’enorme
volume che ha assunto l’attività estrattiva, in particolare di
inerti e calcari, destinati appunto per l’80% alla produzione di
cemento. Di contro a questi numeri sconvolgenti, i canoni di
estrazione sono vergognosamente bassi: mediamente nelle regioni
italiane si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti. Il totale
nazionale delle concessioni pagate ammonta così all’incirca a 36
milioni di euro, mentre, udite udite, il totale degli introiti
ricavati dai cavatori alla vendita è di ben 1 miliardo e 150.000
milioni di euro. Per fare un piccolo paragone, in Gran Bretagna ad
esempio, a parità di materiale estratto lo stato avrebbe ricevuto
oltre 267 milioni di euro. Venendo infine alla nostra Umbria lo
scorso anno sono stati estratti 547.000 metri cubi solo di ghiaia e
sabbia, con conseguenti entrate annue calcolabili intorno ai 205.00
euro. Se si fossero applicate le tariffe delle regioni limitrofe
avremmo ottenuto all’incirca i seguenti introiti: toscane 251.000
euro, emiliane 311.000 euro , marchigiane 388.000 euro. Se avessimo
invece deciso addirittura di applicare i canoni dello stato
britannico avremmo incassato addirittura 1.164.279 euro. I numeri
parlano chiaro; sarebbe opportuno che la Regione aumentasse i canoni
di estrazione e iniziasse a tassare maggiormente il conferimento dei
rifiuti dell’edilizia nelle discariche. Di contro andrebbero
incentivati il recupero dei materiali di scarto da costruzione e
demolizione, così come avviene in Danimarca, dove il 90% del
fabbisogno è coperto attraverso il riciclaggio.
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