Città di Castello è una di quella città di cui andare
fiero, almeno se si osserva il suo passato e i personaggi che vi sono gravitati.
Nel terzo secolo a.c. era un insediamento romano denominato Tifernum Tiberinum,
citato anche da Plinio il Vecchio. Poi fu la Castrum Felicitatis dei Longobardi
e, sotto il dominio Vaticano, la città dei Vitelli, che qui fecero arrivare
artisti del calibro di Raffaello. Una città contadina, placidamente contornata
dagli Appennini, che seppe essere antifascista e far crescere fra le sue mura
partigiani come Venanzio Gabriotti. L’orgoglio comprensibile che un tifernate
porta con se, non si è mai saputo tradurre in vero amore per la propria città, o
meglio, le amministrazioni di sinistra che dal dopoguerra ad oggi si sono
avvicendate sulle poltrone comunali sono andate sempre più scemando per
adeguatezza ed efficienza. E non penso soltanto alle strade colabrodo,
all’espansione urbana incontrollata, all’insipienza con cui si lasciano decadere
o si tumulano sotto una colata di cemento i nostri gioielli, la nostra storia,
ma anche e soprattutto un preoccupante fenomeno di mancanza di
democrazia. Perché quando accade che i cittadini sono restii a
candidarsi alle elezioni comunali per paura di ritorsioni sul posto di lavoro o
sulle associazioni di cui fanno parte, non c’è altro da fare che denunciare un
deficit di libertà. E c’è chi lo fa da decenni, con la costanza e la fermezza
che solo chi crede che la politica non sia un ufficio di collocamento, o un
trampolino di lancio per chissà quali traguardi personali, può avere. Persone
che ancora camminano a braccetto con la loro Dignità, non avendola barattata per
qualche misero giochetto di incarichi. Nei loro occhi puoi leggere lo scoramento
di chi ha visto questa condizione aggravarsi ma ha continuato a lottare convinto
che tutte le bellissime esperienze che nonostante tutto qui ancora nascono, sono
il segno di una città che vive e tornerà a godere della democrazia che i suoi
migliori figli gli ha regalato. Fino a quel momento sarà soltanto un collettivo
coito interrotto.
Alessio Biccheri
foto da qui
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